Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata

21 gennaio 2016 | 08:52
Share0
Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata
Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata
Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata
Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata
Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata
Fanghi petroliferi: ecco alcuni dei veleni usati in Basilicata

In Italia non esiste un supporto legislativo che regolamenti l’utilizzo dei liquidi di perforazione, fanghi ed additivi coperti da segreto industriale vengono usati in massa nelle perforazioni petrolifere, in regime di autocontrollo e coperti da segreto industriale. 

Se il pozzo intercetta falde o altri corpi idrici profondi non è affare della cittadinanza e neanche delle istituzioni locali andare a controllare: a vigilare c’è l’Unmig, un ufficio ministeriale che non garantisce alcun accesso a questi dati, in barba alle leggi internazionali e nazionali sull’accesso alle informazioni ambientali.

Le sostanze chimiche usate in Val d’Agri. Per il pozzo Pergola 1 abbiamo prova dell’utilizzo del Watertite della Terratech, una sorta di bentonite super-prestante di cui non c’è scheda di sicurezza pubblicata, quindi non se ne conoscono gli ingredienti. Non lontano, nella zona industriale di Viggiano, nei capannoni delle società AVA-Halliburton-Criscuolo (aziende di servizi per la perforazione) vi sono campi da calcio pieni di container-silos di queste sostanze: dall’azoto liquido/nitrogeno della Halliburton e della OHS ai silos della Chemical Express, azienda campana di trasporti speciali: sembra che in Val d’Agri ci sia spazio per tutte le aziende del mondo, tranne che per l’informazione nonostante lo scenario che si pare dinanzi sia forte sia alla luce del dispiegamento di merce visibile ma anche alla luce delle varie contromisure adottate per evitare la visione dall’esterno. Non è possibile avere informazioni su quantità e modalità di utilizzo di queste sostanze chimiche, perché le aziende sono tutte commissionarie di Eni, e solo Eni può autorizzare il rilascio di informazioni.

E a Corleto non va meglio. Oltre che a Viggiano, anche a Corleto la Halliburton ha usato nel sottosuolo diverse sostanze, tra cui pare uno dei suoi prodotti di punta ossia il cloruro di potassio, base del fango KCL composto da cloruro di sodio, cloruro di potassio e glicolo, tra i più usati ma anche tra i più impattanti e vietati o strettamente normati in alcuni paesi. La Halliburton, multinazionale texana, coinvolta nell’inchiesta sull’incidente della Deepwater Horizon, è stata datrice di lavoro dell’ex vice di Bush junior, Dick Cheney e vanta all’attivo numerose sedi nel mondo, soprattutto nelle isole Cayman, Cipro e numerosi altri paradisi fiscali. In Basilicata lavora da anni con Eni e Total.

I fanghi usati in Basilicata. Eni invece tra le sostanze documentabili, ha impiegato anche prodotti della Versalis, ramo chimico della multinazionale, come nel caso dell’E-ASPH 27800, fotografato a Corleto nei pressi di un agriturismo: un prodotto che stando alle informazioni sommarie pubblicate sul sito aziendale servirebbe a prevenire la precipitazione degli asfalteni e dalla segnaletica di sicurezza emerge la sua pericolosità sia per gli utilizzatori che per l’ambiente. In un documento della Petromanas Energy del 2014, i fanghi usati da Eni vengono citati come soluzione ai rischi di collasso pozzo (avvenuto in almeno un caso in Val d’Agri, secondo la Petromanas) perché le rocce carbonatiche valligiane, instabili durante le perforazioni, hanno causato perdite di fanghi durante le perforazioni. Anche la AVA di Roma è stata chiamata in Basilicata per impiegare i suoi fanghi obm, ossia a base d’olio, come l’Avawash, fotografato in contrada San Canio a Gorgoglione. Gli obm sono tra i fanghi più tossici per l’ambiente come ricordato da ricerche internazionali ed anche nel volume di Civita e Colella. Senza dimenticare che in questo cerchio magico c’è anche la Baker Hughes, della quale abbiamo già documentato la sonda radioattiva utilizzata a Corleto, la stessa azienda proprio dinanzi al centro oli Val d’Agri occupa un enorme capannone nel cui interno i liquidi stoccati sono impilati in file alte diversi metri, con altri silos all’esterno privi di dati ed all’ingresso un’area con acque e suoli contaminati, contrassegnati da apposita cartellonistica di rifiuto pericoloso. Anche all’ingresso del capannone Halliburton prima di piccoli interventi edili, compariva un rigagnolo di acqua nera, oggi apparentemente tombato.

Una terra di nessuno. Molte di queste sostanze non solo contengono metalli pesanti ed altre sostanze dannose ed accumulabili, ma anche tutta una serie di sostanze plastiche, acide e polimeriche che nella legislazione nazionale, e purtroppo ancora in parte anche in quella europea, non sono ricercate per legge quindi non sono ancora riconosciute come contaminanti di legge. Molte di queste sostanze non hanno una scheda di sicurezza pubblica da cui ricavarne le principali caratteristiche chimiche e tossicologiche, e molte di esse vengono miscelate tra loro ed usate in regimi di alte temperature ed alte pressioni. Una vera e propria terra di nessuno, tuttavia il sottosuolo dovrebbe essere proprietà dello Stato invece sembra un’enorme zona grigia, alla quale se aggiungiamo la scarsa trasparenza nella tracciabilità dei rifiuti e nei controlli ambientali incrociati il quadro che ne esce è definito: ossia permettere a questo settore industriale di lavorare al di fuori delle leggi d’indirizzo generale, testando sul campo nuove tecnologie coperte da un lato da segreto industriale e dall’altro non controllabili dagli enti pubblici che per legge non devono neanche cercare dei contaminanti se ancora non normati. Infatti né Arpab né Ispra, né Ministero dell’Ambiente, né Unmig hanno ufficialmente in atto piani di controllo specifici in questo settore e per queste sostanze. Perché non regolamentare questi additivi anche in Italia? Altri dati certi sono le analisi che si sono sporadicamente accumulate negli ultimi anni in Basilicata. Il bario, l’alluminio, il ferro, il vanadio, l’arsenico, i fenoli, i TDS, il cloruro di sodio, l’azoto ammoniacale, la conduttività, e gli idrocarburi trovati in quantità elevate in numerosi campionamenti sia ufficiali che privati potrebbero essere usati per controlli incrociati e perizie spettroscopiche che la magistratura ad oggi ufficialmente non ha ancora compiuto, anzi in qualche caso archiviando anche frettolosamente le indagini come per il Pertusillo nel 2013. Serve un registro per queste sostanze, tracciarne usi, quantità e pericolosità nonché il relativo smaltimento, e servirebbe farlo subito perché potrebbe già essere tardi.