Giovane lucano fa arrestare pericoloso latitante. Tutti i retroscena della vicenda

26 marzo 2015 | 18:07
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Giovane lucano fa arrestare pericoloso latitante. Tutti i retroscena della vicenda

Un bravo ragazzo che si fa strada da solo, è lucano. Lo chiamiamo Alberto, per ragioni di sicurezza. Anche se ormai, per quanto ci risulta, le sue generalità sono scoperte. “Grazie alle negligenze e alle superficialità di alcuni giornalisti e delle istituzioni che mi avrebbero dovuto proteggere.” Lui è un esempio di onestà e senso civico. Un giovane cittadino che ha il coraggio di denunciare il suocero mafioso, mettendo in serio pericolo la propria vita e quella dei suoi cari. Ci telefona, chiede di incontrarci, non vuole dire il nome. “Sono al bar …, ho un giubbotto rosso, raggiungetemi. Ho tanta rabbia, e molte carte che scottano.”

Alberto incontra l’amore 

E’ il 2006, a Barcellona Alberto conosce Daniela Skinner, si frequentano. Si amano. Vanno a vivere insieme. Per sette anni sono una coppia felice. Nel marzo 2013 i due si recano a Londra per una visita di cortesia ai genitori di lei. E’ in questa circostanza che Alberto fa un’inquietante scoperta. La sua ragazza ha un passaporto autentico, ma con nome falso. Allo stesso modo il padre di lei, si presenta con il nome di Marco Skinner, passaporto autentico, nome falso. La madre di lei è Anna Maria Macaluso Culcasi, figlia del defunto Bernardo, ex Console italiano a Londra. Anche lei ha un passaporto Skinner. Ma tutti residenti a Trabia, provincia di Palermo. Gli Skinner fanno una vita molto agiata e frequentano la “Londra bene”. Marco Skinner insiste per un trasferimento di Alberto e Daniela a Londra, ‘minacciando’ Alberto con un linguaggio che al ragazzo sembra molto strano. Marco parla siciliano stretto e usa gesti minacciosi. Alberto cerca di capire, rovista tra le carte della residenza degli Skinner, trova delle tracce. Si insospettisce. Confida i suoi dubbi a un amico maresciallo dei Carabinieri, il quale scopre le generalità vere degli Skinner. Il carabiniere consiglia ad Alberto di fare immediatamente denuncia.

La verità che sconvolge

Il vero cognome di Daniela è Rancadore, il padre è Domenico Rancadore, detto “u profissuri”, nato a Palermo il 15 marzo del 1949.  Domenico è inserito nella “famiglia” mafiosa di Trabia (Palermo), in qualità di consigliere e poi di capo mandamento di Caccamo e Trabia. E’ figlio di Giuseppe Rancadore, ex capo della “famiglia” di Trabia, ergastolano, ora deceduto. “Il professore” nel 1995 è destinatario di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal Gip del Tribunale di Palermo, per associazione di tipo mafioso e per altri reati. Nell’ottobre del 2000, l’Ufficio Esecuzioni Penali della Procura Generale di Palermo emette l’ordine di esecuzione per la carcerazione per associazione di tipo mafioso aggravato. Deve scontare sette anni di reclusione. Intanto, Domenico Rancadore è scomparso. Irreperibile dal 14 dicembre 1994. Latitante da venti anni. E’ nella lista dei latitanti più pericolosi. Ricercato in ambito Schengen dal 29 luglio 1998.

Il rientro in Italia e la denuncia

“Daniela perché non mi hai detto la verità? ” Non volevo spaventarti, Alberto.” I due si lasciano. Il ragazzo fa immediatamente rientro in Italia. Confida al maresciallo della  Questura di Potenza, Antonio Girardi, di sapere dove risiede il latitante Rancadore Domenico. Girardi informa immediatamente la sua dirigente, Rosa Manzo, la quale convoca lo stesso giorno il ragazzo in Questura. Alberto racconta tutto: identità del latitante, luogo di residenza, false generalità, provenienza del passaporto. Consegna, a riprova, tutti i documenti in suo possesso. Il ragazzo raccomanda di mantenere il segreto sulla fonte. E’ a rischio la sua vita. Intanto il latitante insospettito dal rientro di Alberto, si allontana dalla residenza londinese nota al ragazzo.

La cattura del latitante

Nei giorni successivi Alberto è convocato in Questura a Potenza. Gli chiedono di collaborare. I funzionari di polizia vogliono che il ragazzo, anche se a distanza di mesi, riprenda i contatti con Daniela, con lo scopo di assicurarsi che il latitante si trovi ancora nello stesso domicilio. Alberto accetta e ricontatta la sua ex più volte sia attraverso conversazioni telefoniche sia per posta elettronica. Alcune telefonate si svolgono alla presenza dei funzionari di Polizia. Le e-mail sono immediatamente girate al maresciallo Girardi. Attraverso queste conversazioni Alberto rassicura la ragazza circa la sua intenzione di chiarire la situazione col padre Domenico. Il latitante, nell’attesa di incontrare il ragazzo, rientra nella località di residenza dove il 7 agosto 2013 viene catturato.  Il 17 marzo 2014 “il professore” è rilasciato su cauzione. Il 5 aprile 2014 è nuovamente sottoposto a custodia cautelare in carcere.

Le minacce

Dopo quarantacinque giorni dall’arresto del latitante, Alberto riceve minacce di morte. Telefonate inquietanti da utenze in uso nel Regno Unito, in particolare a Uxbridge (ovest di Londra) località di residenza della famiglia Rancadore. Minacce arrivano anche da utenze telefoniche toscane, in particolare da Pontedera, dove vive il nipote del boss mafioso. Intanto  viene revocata la scorta ad Alberto. E le minacce non si fermano. L’8 maggio 2014 il ragazzo riceve a casa sua una lettera da Palermo che contiene chiare minacce di morte. Una frase per tutte: “Morirai fango”. Il 21 giugno 2014 la madre di Alberto riceve una strana telefonata la cui provenienza è identificata nel Comune di Geraci Siculo, provincia di Palermo. Molte le chiamate strane provenienti dalla Sicilia. Ma perché minacciano il ragazzo? Come fanno a sapere che è stato lui a svelare il nascondiglio del latitante? Lo capiremo tra poco, quando tratteremo degli “sgambetti” della Questura e delle altre istituzioni. Nel frattempo l’Italia chiede l’estradizione di Rancadore. Ma gli inglesi non ne vogliono sapere. Nel Regno Unito non esiste il reato di associazione mafiosa. Finalmente il 20 febbraio 2015 viene accolta la richiesta, ma il latitante fa ricorso alla Corte Suprema inglese. Il 17 marzo 2014 La Westminster Magistrates’ Court di Londra decise di non procedere all’estradizione in Italia di Domenico Rancadore. 

Il primo “sgambetto” della Questura

Il 16 luglio 2013 Alberto fa la denuncia in Questura a Potenza. Stranamente non gli viene rilasciato un verbale di denuncia, ma un memoriale scritto materialmente dal funzionario di polizia. In quella sede il ragazzo pretende che la sua identità rimanga segreta e segreta deve rimanere la sua località di provenienza. Riceve rassicurazioni in tal senso. Ma nei giorni successivi l’arresto del latitante, i giornali titolano: “La Squadra Mobile di Potenza fa arrestare il boss Rancadore”. Dunque, la fonte delle informazioni utilizzate per la cattura del latitante è Potenza. Bella copertura! E lo lasciano anche senza protezione.

L’accordo di protezione e il viaggio della paura a Palermo

Il 12 agosto 2013 Alberto firma un accordo di protezione, ma il 7 marzo 2014 quelle misure di tutela sono revocate. I termini dell’accordo vengono modificati all’insaputa del ragazzo. Alberto viene esposto a rischi notevoli. Così scrive il Questore Panico: “…a seguito di riunione tecnica di coordinamento delle Forze di Polizia è stata disposta nei suoi confronti la rimodulazione della misura di protezione di “Tutela su auto non specializzata in “Vigilanza Dinamica Dedicata  a mezzo degli equipaggi mobili dell’Arma dei carabinieri fino al 30 settembre 2014 presso la sua abitazione”. In questo periodo di vigilanza dinamica dedicata, Alberto deve recarsi a Palermo, precisamente il 22 luglio 2014, dinanzi al Procuratore Aggiunto Vittorio Teresi. In questa circostanza il ragazzo chiede di essere accompagnato da una scorta. La richiesta è negata e Alberto è costretto a recarsi in Sicilia da solo! C’è dell’altro. Il 26 settembre 2014, il Comitato per la Sicurezza e l’Ordine Pubblico della Provincia di Potenza si riunisce per deliberare una ulteriore modifica delle misure ordinarie di protezione, prevedendo la sola ”vigilanza generica radio collegata fino al 31 marzo 2015.” E qui un altro ”sgambetto”: Alberto viene informato di questa nuova modifica il 9 gennaio 2015, su sua espressa richiesta circa l’eventuale proroga o termine delle misure di protezione precedentemente assunte il 7 marzo 2014. In sostanza il ragazzo per tre mesi è convinto di essere sottoposto ad un tipo di tutela, al contrario le misure sono cambiate a sua insaputa! Facciamo un passo indietro. Il programma di protezione del 12 agosto 2013 prevedeva al punto 7) lettera a) che “per gli spostamenti fuori provincia…l’accompagnamento è previsto sino alla località di destinazione dove il servizio verrà assicurato dalla Forza di polizia del luogo…” Ebbene, il 22 febbraio 2014 Alberto deve recarsi a Rimini per motivi di salute e fa richiesta di applicazione di quella clausola. Ottiene un rifiuto. La Questura corre ai ripari rettificando quel punto dell’accordo. L’accordo, tra l’altro, aveva cogenza ministeriale e quindi la Questura non avrebbe avuto alcun titolo per rettificarlo.

Ancora “sgambetti”

Perché ad Alberto viene revocato il programma di protezione sottoscritto il 12 agosto 2013? Semplice. Il Servizio Centrale di Protezione di Roma non è mai stato informato sulla verità dei fatti dalla Questura di Potenza. Quindi, per la Commissione per le speciali misure di protezione Alberto non è testimone di giustizia, né ha collaborato attivamente alla cattura di Rancadore. Alberto è una persona che, secondo la Questura di Potenza, ha fornito una semplice informazione. Dunque, la documentazione che riguarda Alberto e il caso Rancadore, non è mai arrivata alla Commissione Centrale, oppure qualcuno l’ha tenuta nel cassetto? A conferma delle “omissioni” della Questura potentina una missiva della Procura competente di Palermo, datata 4 luglio 2014,  a firma del Procuratore Aggiunto Vittorio Teresi, nella quale si precisa che “…agli atti di questo Ufficio non risulta che (cognome del ragazzo) abbia mai reso dichiarazioni di alcun genere (…) si precisa inoltre che per la cattura del latitante Rancadore Domenico, non ci si è avvalsi di alcun contributo collaborativo ma si è trattato di un’operazione di Polizia con la collaborazione dell’Interpol”. Ma come! A Palermo non risulta neanche il nome di Alberto, non sanno della collaborazione fornita dal ragazzo.

Alberto perde tutto, cade in depressione, ha paura per la sua vita

In seguito alla scoperta della fonte delle notizie che hanno consentito la cattura di Rancadore, ad Alberto è stato proibito il ritorno in Spagna, dove lavorava e viveva. Un danno economico importante. L’esposizione a gravi rischi, la paura di morire ucciso sotto i colpi di un sicario, lo fanno cadere in uno stato di depressione. Ed è costretto a curarsi con i soldi che non ha più. Il ragazzo si chiede come mai, per quale assurda ragione, gli viene negato il diritto ad un’adeguata protezione, essendo egli a tutti gli effetti un testimone di giustizia ai sensi dell’articolo 12 della legge 45/2001? Eppure ha fornito un contributo fondamentale per la cattura di un pericoloso latitante. Qualcuno, informalmente, gli spiega che la sua collaborazione non ha contribuito a scoprire alcun reato. Ammesso che la cattura di un latitante non si configuri come scoperta di reato, vogliamo parlare dei passaporti con false generalità?

Le denunce e gli esposti

Alberto denuncia le “omissioni” della Questura, le superficialità ed eventuali negligenze della Prefettura. Lo fa in tutte le salse. Alla Procura di Potenza e a quella di Salerno. Scrive al Viminale e al Quirinale. Al Viminale, il vice ministro Bubbico fa sapere che è “stata allertata la Procura competente”, Palermo. La Procura competente fa sapere che nulla sa. Su insistenti richieste di Alberto partono le convocazioni in Prefettura. Alberto espone il suo caso, in molti incontri. L’ultimo il 26 febbraio 2015. Incontro avvenuto grazie all’intervento diretto del Quirinale. Ad oggi nulla accade. Sembra, tuttavia, che la Procura di Salerno abbia aperto un fascicolo di indagine su eventuali omissioni e negligenze della Questura di Potenza. Alberto è solo, ma, confessa: “Ho sempre sentito vicini, anche umanamente, i carabinieri della Stazione del Comune dove risiedo”. Alberto chiede solo protezione.

Altri lati oscuri della vicenda

Ormai si sa che gli inglesi non hanno alcuna intenzione di estradare il latitante. Nel frattempo è giusto riflettere su alcune anomalie di tutta la storia. Chi ha fornito alla famiglia Rancadore passaporti autentici con nomi falsi? Certamente le autorità britanniche. Il suocero del latitante è stato per lungo tempo Console italiano a Londra. E’ questa una circostanza che lascia immaginare coperture di una certa importanza ai livelli istituzionali non solo inglesi, ma anche italiani? Il 24 gennaio 2012, il quotidiano la Repubblica di Palermo, titola: “Latitante a Londra a spese dello Stato. Il boss Rancadore con la pensione da prof”. Nell’articolo, a firma di Salvo Palazzolo, si legge: Da qualche settimana, i carabinieri del Gruppo Monreale hanno svelato il giallo: Rancadore è a Londra, da lì continua i suoi affari di mafia e intanto si gode la pensione dell’Inpdap. Sì, perché il numero due della lista dei ricercati di Cosa nostra, che oggi ha 62 anni, è stato un insegnante di educazione fisica nella sua vita da insospettabile. In realtà, quella era un’attività di copertura, così hanno raccontato i pentiti, ma la pensione dell’Inpdap è invece vera e arriva puntuale ogni mese su un conto corrente di una banca italiana, intestato al latitante. Che il latitante si nascondesse a Londra era quindi noto. Aveva persino un conto corrente intestato in Italia. Era così difficile rintracciarlo? Vuoi vedere che Alberto, con le sue informazioni, ha rotto le uova nel paniere a qualcuno che non aveva alcuna intenzione di catturare il mafioso? Intanto l’unica certezza è che gli inglesi non vogliono estradarlo.