Una fogna chimica chiamata Basento

25 gennaio 2015 | 12:18
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Una fogna chimica chiamata Basento
Una fogna chimica chiamata Basento
Una fogna chimica chiamata Basento
Una fogna chimica chiamata Basento

Qual è lo stato di salute del più importante bacino idrico lucano? Anni di studi ci consegnano la memoria chimica d’un fiume violentato da scarichi d’ogni tipo

e di cui oggi più che mai, siamo tenuti seriamente a decidere in che modo occuparcene perché è in gioco non solo il rapporto dell’essere umano con la natura, ma lo stesso rapporto con ciò che siamo o vogliamo essere.

L’aspetto drammatico della contaminazione. Nel 2007 su Environment Science Technology uscì uno studio sulla Valbasento che stimò origine e destino di cromo, nichel, rame, zinco, piombo e vanadio, metalli pesanti che possono causare seri rischi alla salute umana soprattutto se, ricordarono, sui suoli inquinati poi si coltivavano vegetali che vengono consumati. “In particolare – scrissero – le due maggiori attività industriali a cui ascrivere provvisoriamente la responsabilità della maggiore contaminazione osservata” erano le fabbriche di cemento-amianto e PVC che avevano operato tra gli anni ’60-’80 e che si estendevano per un’area di mille ettari (10km2, ndr). Oltre ai metalli riscontrarono inquinamento da vari composti organici tossici e una “diffusa contaminazione da mercurio”, così come “particolare attenzione” andava data a metalli come zinco, rame, vanadio e piombo che mostravano una “non trascurabile mobilizzazione”. Sempre quell’anno sulla rivista Geophysical Research Abstracts, uscì un altro studio dal titolo: “Mercury distribution and speciation in agricultural soils around a polluted site in the South of Italy”. I soliti scienziati ‘allarmisti’ ricordarono che il mercurio è uno degli elementi più tossici per gli organismi viventi e per questo la sua concentrazione nel suolo è tra le più basse consentite nelle normative ambientali del mondo. E soprattutto, che nell’area industriale studiata, Ferrandina, un “aspetto drammatico” da considerare seriamente era che l’inquinamento da mercurio di impianti di cloro-soda aveva “raggiunto i terreni situati lontano dal sito industriale e spesso destinati a uso agricolo”. Dalle indagini si ricavò che il mercurio era distribuito in forme scarsamente solubili, molto probabilmente, si scrisse, in mercurio elementare (90%, ndr) e cinabro (10%, ndr) e che la materia organica non sembrava contribuire alla distribuzione dello stesso.

Là dove restano i lombrichi. Nel 2008 altro report sul bioaccumulo di sostanze tossiche in vegetali e animali prelevati lungo il Basento. Si analizzarono in quattro stazioni lungo il fiume (fig1) in acqua, sedimenti e tessuti di alcuni macro invertebrati, metalli come arsenico, cadmio, cromo, piombo e zinco. Già dalle prime righe si legge che negli ultimi anni il fiume “è stato trasformato in una fogna di vari rifiuti urbani e industriali”, e che ciò potrebbe aver causato un serio impatto sull’ecosistema. È indicativo che l’ultimo punto di prelievo, la foce, risultava il più inquinato. Le concentrazioni di metalli erano oltre i limiti di legge per acqua e sedimenti. Valori elevati di cromo e piombo, oltre o vicino a limiti di legge vennero riscontrati nella stazione B1 (Potenza, ndr) per sedimenti e acqua. Presso i siti B2 e B3 invece, le concentrazioni erano sempre inferiori a limiti di legge fatta eccezione per il cadmio in campioni d’acqua. Ma anche nei campioni biologici raccolti presso i siti meno inquinati c’era un carico metallico non trascurabile. Le concentrazioni medie d’arsenico, cadmio e cromo, generalmente più elevate in tricotteri, baetidi, lombrichi, e lumache, suggerivano che l’ingestione di sedimenti o del substrato era il canale principale d’assorbimento dei veleni. Le più alte concentrazioni vennero registrate in lombrichi e lumache, a stretto contatto con strati di suolo inquinati. Rame, piombo e zinco vennero trovati in concentrazioni equivalenti in tutti gli organismi a eccezione del sito B3, dove fu riscontrata l’elevata concentrazione di zinco nei lombrichi, in grado di tollerarne quantità considerevoli. I risultati per capire la correlazione rispetto al modo di cibarsi presentarono significative differenze tra tricotteri e baetidi da una parte, e lombrichi e lumache dall’altra rispetto a cadmio piombo rame e zinco, e un comportamento dissimile delle diverse categorie macro invertebrate nel bioaccumulo. Tutti i tipi di organismi accumulavano quantità crescenti d’arsenico, cromo e zinco in relazione all’aumento della contaminazione del sedimento e indipendentemente dalla loro vita o dal loro comportamento alimentare. In condizioni altamente inquinate come in Val Basento solo i lombrichi sopravvivevano. Attraverso il monitoraggio dell’ecosistema del fiume fu osservato che la durata della vita e l’abbondanza dei macro invertebrati bentonici può essere notevolmente modificata dalla presenza di quantità non trascurabili di arsenico, cadmio, rame, piombo e zinco, e i risultati ottenuti suggerivano che la presenza dei soli lombrichi era correlata a elevato inquinamento.

Il fattore K. Nel 2009 la questione mercurio venne ripresa in “Solving mercury speciation in soil samples by synchotron x-ray microspectroscopic techniques”, con una collaborazione tra dieci ricercatori provenienti da varie università e istituti europei. Studio, quest’ultimo, in cui si dice chiaramente che è stato addirittura possibile identificare “per la prima volta nuove forme potenzialmente più mobili e amorfe di solfuri di mercurio”. Scrissero che s’era utilizzato mercurio attraverso un processo che produceva enormi volumi di acque di scarico contaminate, ed era pratica comune trattarle precipitandolo in forma di solfuri insolubili, producendo di conseguenza un rifiuto fangoso identificato come K106. Fanghi che prima del ’92 erano stati tranquillamente smaltiti sui terreni. E non doveva essere andata diversamente a Ferrandina in quanto “tutti i dati presentati – affermarono – suggeriscono che la contaminazione da mercurio osservata nel terreno è molto probabilmente causata dallo smaltimento di rifiuti contenenti elevate concentrazioni di K106”. Contaminazione da mercurio che, dissero pure, potrebbe essere all’origine dell’attuale distribuzione nelle sue diverse specie chimiche osservata nei campioni di suolo. Particolare attenzione doveva essere prestata a misure del terreno al di sotto del micron, in quanto potevano rappresentare un serio pericolo per altri regni biologici, come gli esseri umani, attraverso la “mobilizzazione colloidale nei flussi d’acqua o l’inalazione”. Per di più l’effetto della luce solare e del cloro (pure scaricato durante i processi industriali, ndr) sulle forme di solfuri di mercurio, produceva specie relativamente più solubili di questa pericolosissima sostanza, fatto pericoloso per la posizione dell’area in un bacino idrografico, per la falda molto superficiale e la diffusa attività agricola intorno. I campioni di terreno raccolti a due profondità (0-10 e 40-50 cm, ndr) in diversi punti si rivelarono inquinati da mercurio con concentrazioni che andavano da 1,5 a 15 μg/g. I risultati suggerivano di porre attenzione a misure dell’ordine del nanometro del particolato al suolo, in quanto “può – affermarono – potenzialmente costituire un serio pericolo per altri comparti ambientali, tanto quanto per esseri umani, per esempio attraverso la mobilizzazione colloidale nei flussi di acqua o l’inalazione”.

Aerosol al mercurio. Nel 2010 sul Journal of Synchrotron Radiation, arriva “Mercury speciation in the colloidal fraction of a soil polluted by a chlor-alkali plant: a case study in the South of Italy”. Questa volta il mercurio lo si studia con uno spettroscopio Xanes per chiarire la sua potenziale mobilità. I risultati indicarono che era in forme abbastanza insolubili come HgS, Hg2Cl2, Hg0, o assorbito da ossidi di ferro, manganese ecc. e che la materia organica del suolo aveva giocato un ruolo minore. La concentrazione di mercurio nella frazione minore di 2mm si disse che era tre volte superiore ai campioni complessivi di suolo. Risultato, scrissero, particolarmente rilevante dal punto di vista ambientale poiché nei campioni analizzati la frazione di argilla rappresentava appena il 30% del peso secco totale del terreno, e l’81% del totale conteneva mercurio. Emerse che la maggior parte del metallo super tossico era concentrata in particelle di terreno dell’ordine di 430-650nanometri ed era ragionevole pensare che nonostante questa frazione di suolo rappresentasse solo una minuscola percentuale della massa, il contributo totale di mercurio nel terreno poteva essere molto elevato.Tutti i dati questa volta confermavano come causa della contaminazione lo smaltimento del K106, di quei fanghi derivati dal trattamento per precipitare il mercurio sotto forma di solfuri insolubili prima dello smaltimento fatto dall’impianto di cloro-soda, e che oggi quel K106, anche se trasformatosi in forme abbastanza insolubili, ha una frazione colloidale potenzialmente mobile e pericolosa, un aspetto che dovrebbe essere preso seriamente in considerazione sottolinearono, quando si pianifica la “valutazione del rischio ambientale”. Ma soprattutto, bisognava tener conto che il mercurio elementare è “facilmente perso dal terreno attraverso la volatilizzazione in atmosfera”. E così un’estate dopo l’altra, per decenni, sopra la Valbasento si è alzato un ‘aerosol’ al mercurio.

La via dei metalli. Nel 2011 su Elsevier esce “Trace metals speciation in sediments of the Basento River”. E ci risiamo con l’analisi dei sedimenti. Di nuovo cadmio, cromo, rame, piombo e zinco, in più si considerano stavolta cobalto vanadio e tallio. Si vuol capire sempre l’origine e la pressione antropica di tali pericolosi inquinanti. I siti di campionamento (fig. 2) vengono selezionati tenendo conto della presenza dell’area industriale di Potenza (stazioni 9-15, ndr), caratterizzata da industrie metallurgiche e fabbriche di artigianato, e della Val Basento (stazioni 34-50, ndr) caratterizzata da industrie chimiche e di ingegneria. Si dice chiaramente che la zona industriale di Potenza sembra avere un ruolo critico nella maggiore presenza di metalli in alcune zone del bacino del Basento. Stando comunque ai fattori di contaminazione lungo l’intero fiume solo piombo e zinco presentano una moderata contaminazione durante le quattro stagioni. La pressione antropica del piombo però, risulta chiara lungo l’intero bacino del fiume, con comportamenti più critici tra le stazioni 1-17. La zona tra le stazioni 10-22 mostra invece valori allarmanti di piombo e zinco nelle frazioni più solubili. Insomma pare chiaro che la presenza di metalli nelle diverse frazioni di terreno mostra come la loro mobilità potrebbe variare, influenzandone la stessa pericolosità. Perciò in alcune zone andrebbero monitorati attentamente. Si sa infatti che le percentuali di cadmio in forme labili sono “molto elevate”, in particolare nelle aree vicino la zona industriale di Potenza devono essere monitorate per la potenziale pericolosità. Si sa che la pressione antropica del cobalto sotto forma di ossidi è più elevata in autunno ed estate, e che i valori totali di cromo risultano superiori in estate anche se la sua concentrazione in forma di ossidi pare superiore in autunno. E si sa che la concentrazione di rame in alcune stazioni nella zona industriale di Potenza potrebbe diventare critica. La concentrazione di nichel ha mostrato valori importanti lungo l’intero bacino del fiume e che sostanze come nichel cromo e cobalto sono assorbite dai minerali argillosi restando legati alla materia organica dei sedimenti. Un comportamento che favorisce il legame tra metalli pericolosi e frazione ossidabile meno mobile, diminuendone la pericolosità. Ma che terreni restano? Certo la legge italiana non considera la mobilità degli inquinanti dicono, mentre la correlazione fra cobalto, cromo e nichel e i minerali argillosi ha evidenziato l’importanza di questi ultimi nel favorire reazioni chimiche da cui si formano poi altri complessi, e un comportamento che da un lato vede ridurre la mobilità di tali metalli nel sistema ecologico, dall’altro aumentare il loro contenuto nei sedimenti. Ma la mineralogia della frazione fine avvertono, può facilmente cambiare durante l’anno, e interessare in modo significativo la quantità di metalli immessi nei sedimenti.