Quella politica dei rifiuti mandata all’aria

13 gennaio 2015 | 17:19
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Quella politica dei rifiuti mandata all’aria

È assodato, i cosiddetti “opifici” dovranno trattare a caldo, termine più ricercato per dire bruciare (come operatore ecologico sta per spazzino), rifiuti lucani e non. Per scelta politica la Regione Basilicata, nonostante rientri tra i territori con le più basse produzioni di rifiuti, per povertà non perché siamo bravi (infatti li buttiamo in discariche indifferenziate che hanno impattato l’ambiente e spesso sono state sequestrate per illeciti, ndr), ne finanzierà diversi. 

Qualcuno sarà realizzato da persone intrecciate con la politica e finite in inchieste dell’antimafia, denunciano movimenti e associazioni. In questo contesto regionale solleviamo alcune questioni che ruotano intorno a uno di questi progetti, che da un lato vede l’utilizzo d’una tecnologia sponsorizzata dalla Blu Economy per la quale, è bene ricordare, la “natura non brucia nulla”, e cioè il recupero delle emissioni di CO2 per produrre una sostanza parecchio richiesta da diversi mercati bio, e dall’altro l’utilizzo di Combustibile Solido Secondario (CSS, ndr) che mediante pirogassificazione manderebbe in aria ben altro.

Garanzie politico-finanziarie? In questo spartiacque schizofrenico, da un punto di vista progettuale, a dicembre scorso la giunta regionale esprime giudizio favorevole di compatibilità ambientale alla costruzione d’un impianto che prenderà rifiuti per trasformarli in compost di qualità e CSS. Verrà realizzato a Bernalda, nelle vicinanze del centro di raccolta dei rifiuti differenziati urbani, “area baricentrica” dicono nella proposta progettuale, rispetto a Puglia, Calabria e Campania. Regioni che, scrivono pure, “manifestano esigenze di conferimento dei propri rifiuti differenziati”, e non solo quelli, ricordiamo. A ogni modo a occuparsene sarà la Lucana Ambiente srl, con sede legale a Bernalda. La società, con quota minima di capitale sociale (10mila euro, ndr), ha due soci, Massimiliano Hallecher, campano, e Silvia Mattia, lucana, con il 50% a testa. L’amministratore unico invece, Giuseppe Quinto, tra il 2013 e il 2014 finisce diverse volte nel database della Camera di Commercio per protesti alla ditta omonima e allo stesso su assegni a vuoto e cambiali non pagate. E qui non capiamo. La Ue nella Strategia tematica per la protezione del suolo dice che “gran parte dei costi legati al degrado del suolo (anche per ricaduta di sostanze che vanno in aria o acqua, ndr) non è sostenuta dagli utilizzatori più diretti dei terreni, ma spesso dalla società in generale” e la Regione autorizza un’impresa con il minimo di capitale sociale, di cui solo la metà è stato versato e un amministratore unico pluriprotestato? È stata aperta, perché non crediamo che qualsiasi lucano pluriprotestato possa permetterselo, una qualche corsia preferenziale? Pare che uno dei soci della Lucana Ambiente lavori con il consigliere regionale Nicola Benedetto, favorevole al trattamento a caldo, e al “recupero” (che nella politica europea in materia di gestione dei rifiuti è la penultima opzione da applicare in relazione al miglior risultato ambientale complessivo, ndr), e abbia a fianco sentimentalmente una persona che lavora in una holding del ciclo dei rifiuti che ha sempre cercato di creare un oligopolio in Basilicata, ed è finita in inchieste e commissioni su illeciti proprio nel ciclo.

Lo strano nuovo che avanza. Certamente a consumo di territori siamo messi male, lo dice pure la Ue. Perciò è essenziale ridurre la contaminazione del suolo e i suoi rischi. Come è essenziale adottare tecniche di edificazione in ambito industriale in grado di conservare il maggior numero possibile di funzioni del suolo. Conservazione o meno ad Aosta qualche tempo fa il dottor Carlo Vettorato faceva notare in merito al progetto di un pirogassificatore le “particelle inquinanti con diametro inferiore ai 2,5 nanometri che nessun sistema di filtraggio è in grado di trattenere”, e i rischi sulla salute. Diversi oncologi si schierarono contro il pirogassificatore e qualsiasi trattamento a caldo di rifiuti, del resto la Ue ci dice di considerare impianto di incenerimento qualsiasi unità e attrezzatura tecnica fissa o mobile destinata al “trattamento termico dei rifiuti”, e che il “coincenerimento”, se avviene in modo che la funzione principale dell’impianto consista nel trattamento termico dei rifiuti, è sempre incenerimento. I nuovi inceneritori, affermarono medici e oncologi di Aosta, emettono in atmosfera sostanze come diossine, furani, metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici, particolato fine e ultrafine e nanoparticelle simili a quelle prodotte dai vecchi inceneritori con accertati effetti sulla salute. Secondo il principio di precauzione, chiedevano sollevando un serio problema, è giusto progettare impianti che a causa del poco tempo trascorso dall’introduzione di nuove tecnologie di incenerimento come la pirogassificazione appunto, e della difficoltà di condurre studi tali da rilevare eventuali effetti collaterali, “emettono – come ricordava pure nel 2008 l’Associazione Italiana di Epidemiologia in Trattamento dei rifiuti e salute – sostanze tossiche di riconosciuta pericolosità”, e nuove sostanze nemmeno monitorate?

Il baricentrico business dei rifiuti. Certo di rispettivi Codici europei rifiuti (Cer, ndr) l’impianto della Lucana Ambiente è autorizzato a trattarne 32milioni (mln, ndr) di chili l’anno, il 6% dei quali composto di metalli, inerti, ecc. che verranno separati e processati all’interno del capannone principale, in locali separati da muri prefabbricati, specificano. Tra i rifiuti utilizzati per la produzione di compost di qualità (5,3mln di chili l’anno, ndr), leggiamo dai Cer, ci sono anche imballaggi in carta e cartone (rifiuti da imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti e indumenti protettivi “non specificati altrimenti”), carta e cartone da rifiuti urbani (inclusi quelli della differenziata, ndr) tra cui domestici e assimilabili prodotti da attività commerciali, industriali, e istituzioni. Ci chiediamo se si tratti di packaging che a seguito di un trattamento protettivo o di rivestimento (quello più presente sul mercato, ndr), contenga composti organici alogenati o metalli pesanti. Scrivono poi che per fare il compost tratteranno “fanghi di depurazione prodotti dalle industrie alimentari”, ma tra i Cer di questi fanghi inseriscono codici relativi a rifiuti prodotti dal trattamento delle acque reflue “urbane”, in poche parole depuratori, che in Basilicata Calabria Campania e Puglia tanto bene non stanno (e diversi ne abbiamo documentati, ndr), e fanghi del trattamento biologico, e altri trattamenti, delle “acque reflue industriali” (ovviamente la tipologia non pericolosa, ndr). Tutti Cer appartenenti alla categoria dei rifiuti prodotti dagli impianti per il trattamento delle acque reflue sempre “non specificati altrimenti”. Per autosostentarsi l’impianto utilizzerà syngas ricavato dal CSS ottenuto trattando a caldo 22mln di chili l’anno di rifiuti solidi urbani (Rsu) o speciali non pericolosi scrivono, a esclusione delle frazioni derivanti da raccolta differenziata. Ma leggendo le carte qualcosa non convince.

L’autorizzazione non specificata altrimenti. Tra tutti questi Cer di rifiuti per fare il combustibile e autosostentarsi ce ne stanno di plastici della produzione, formulazione, fornitura e uso di plastiche, gomme sintetiche e fibre artificiali. Di imballaggi in carta e cartone, plastica, legno, materiali compositi e materiali misti rientranti nella categoria dei rifiuti di imballaggio, assorbenti, stracci, materiali filtranti, indumenti protettivi “non specificati altrimenti”. Ci stanno pneumatici e plastica di veicoli fuori uso e dal loro smantellamento e manutenzione sempre “non specificati altrimenti”. E poi legno e plastica che rientra tra i rifiuti delle operazioni di costruzione e demolizione (compreso terreno proveniente da siti contaminati, ndr), e ancora rifiuti urbani e simili non compostati, carta, cartone, plastica, gomma, e persino quel CDR il cui miglior esempio italiano sono le migliaia di ecoballe campane non bruciabili tempo fa né per il ministro dell’ambiente né per l’assessore all’ambiente della Campania. E poi ci stanno “altri rifiuti”, compresi materiali misti, prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti senza sostanze pericolose dicono. E infine rifiuti non biodegradabili e Rsu “non differenziati”. E su questi ultimi entra in gioco un’importante questione. L’impianto, assieme ad altri, veniva autorizzato sulla base di un articolo d’una precedente legge regionale che vietava qualsiasi “recupero”. Ecco che allora la giunta regionale con “specifico atto deliberativo” modificava tale articolo dopo istanza della società proponente, consentendo in deroga alla pianificazione sulla gestione dei rifiuti il recupero dei soli “rifiuti speciali”. Perché invece il Dipartimento ambiente della Regione autorizza l’impianto al recupero di rifiuti urbani indifferenziati? Siamo passati dalla monocultura delle discariche di indifferenziata, che tanto bene ha fatto solo a qualche imprenditore e politico, a quella dei micro inceneritori di indifferenziata?

Alla fine chi ci guadagna? Certo se a differenziare le frazioni metalliche potrebbe pensarci un deferizzatore previsto, l’incenerimento o pirolisi di “rifiuti urbani e assimilati”, come ricorda nel 2010 l’Ispel considerando i processi termici in uno studio specifico, produce rifiuti contenenti arsenico. Un veleno. Nella descrizione del processo produttivo del CSS si scrive che dopo essere stati vagliati i rifiuti verranno essiccati termicamente, e verrà selezionata la frazione pesante (inerti e metalli, ndr). Nella fase di selezione dicono che il “fluff” essiccato entrerà in un dispositivo che meccanicamente produrrà le “bricchette”, ossia il CSS. Solo che quando si parla di fluff nell’Elenco dei rifiuti istituto dalla Commissione Europea nel 2000, ci si riferisce a “rifiuti prodotti da operazioni di frantumazione di rifiuti contenenti metallo” e in particolare di frazione leggera e polveri (anche contenenti sostanze pericolose, ndr). Tenendo poi conto che si tratteranno rifiuti “non specificati altrimenti” di autoveicoli, e che i pneumatici, come ricorda la Wasteandchemicals, contengono elevate concentrazioni di piombo e zinco, in che modo va considerato ecotossicologicamente l’uso di questo CSS? E c’è un’altra questione. L’impianto verrà realizzato in una zona industriale ma i lotti previsti per la costruzione sono a qualità seminativa. E in effetti lì intorno si coltiva, e fanno pure il biologico. Vicino c’è anche l’Agenzia lucana per lo sviluppo in agricoltura (Alsia, ndr), e c’è l’Agrobios, che quando era Metapontum Agrobios srl stipulava proprio con Lucana Ambiente una convenzione per dotarla d’un processo in grado di catturare CO2 attraverso alghe che finiscono per diventare prodotti cosmetici, integratori alimentari, vitamine. Oggi per recuperare un buco di bilancio i dipendenti della ex Metapontum Agrobios sono stati accorpati nell’Agenzia regionale per la protezione ambientale di Basilicata (Arpab, ndr). Significa che l’ente pubblico che dovrà controllare eventuali impatti dell’impianto sulle matrici ambientali è coinvolto nel baricentrico business proposto da privati? Ma in Basilicata siamo abituati a ben altro. Per esempio, come successo a Melfi, che poi Regione, Provincia e Arpab non si costituiscono in giudizio nei processi per inquinamento. Certo un segnale indicativo.