Potere all’acqua

8 agosto 2014 | 17:37
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Potere all’acqua
Potere all’acqua
Potere all’acqua

A febbraio scorso Gerald Pollack, professore di bioingegneria della Washington Univerity ha dichiarato che il corpo umano è fatto al 99% di acqua. Un’affermazione supportata dalla teoria di Sharon Kleyne secondo cui la disidratazione è responsabile di molte malattie. Anche il 70,8% del pianeta è fatto d’acqua, e solo la minima parte è utilizzabile dall’essere umano. Quali problemi sorgono quando essa scarseggia o viene contaminata dall’essere umano?

La linea rossa del possesso. Le antiche sventure del popolo israelita cominciano con la fuga in Egitto a causa d’una siccità. Nei primi decenni del Novecento le comunità ebraiche programmavano il ritorno in terra santa e i confini della Palestina affermando che “è di vitale importanza non solo la sicurezza delle risorse idriche che già alimentano la regione, ma anche assicurare il possesso d’ogni cosa che può conservarle e aumentarle”. Nel ’77 il primo ministro Menahem Begin per negoziare con il presidente egiziano Anwar Sadat incaricò Menachem Cantor, Commissario per le risorse idriche, di delineare una mappa dell’uso israeliano dell’acqua originata nei Territori palestinesi (West Bank, ndr). Territori che nel tempo sono stati conquistati sino ad assumere una linea di confine identificata dall’Onu nel 1967 come Green Line. Basandosi sulla sola priorità di proteggere le risorse idriche di Israele, Cantor doveva fornire al Governo le linee guida dei luoghi in cui poter cedere il controllo. Fu così definita la “linea rossa”. Nel ’86 la questione dei confini fu posta in modo ancora più netto in relazione all’acqua. Bisognava inglobare i territori che s’estendevano sino alla “divisione d’acqua sotterranea”, da 2 a 6km dentro la Green Line. Si prevedeva di annettere circa il 20% della West Bank, il 19% della Striscia di Gaza, e il 50% delle alture del Golan. Nel ’91, uno studio sulla soluzione ai problemi idrici negli accordi tra Israele e arabi dell’Università di Tel Aviv, per la West Bank utilizzò come criterio la “linea rossa” suggerendo che Israele poteva ottenere dall’Autorità palestinese, con garanzie politiche e legali, il controllo delle risorse idriche di più dei due terzi della West Bank e della metà delle alture del Golan. Per il Ministro dell’agricoltura israeliano di allora, era invece necessario il controllo totale delle riserve della West Bank. Resta valido oggi l’ordine militare che ribadisce che “le autorità di occupazione israeliane faranno ricorso all’emissione di vari ordini militari che diano agli israeliani il diritto assoluto di controllo delle risorse idriche palestinesi”. Pochi mesi prima che Gaza fosse bombardata il Jerusalem Post raccontava come la siccità si stava facendo sentire particolarmente nelle regioni attorno alle riserve idriche naturali, e l’Autorità per l’acqua israeliana, preso atto della scarsa piovosità e delle condizioni del lago Kinneret e del Mar Morto, aveva lanciato l’allarme. Il Mar Morto si prosciuga alla media d’un metro l’anno, e oltre l’intervento umano, la siccità è determinante. Oggi si spera nelle tecnologie israeliane di desalinizzazione dell’acqua di mare o di recupero dai rifiuti, presentate al mondo come future sorgenti d’acqua del Medio Oriente, ma i conflitti e la destabilizzazione in atto hanno fatto saltare ogni accordo tra stati arabi e Israele.

Diretti a Est in cerca d’acqua”. Tecnologie israeliane che pare salveranno anche la California, dove intanto di recente, Brad Rippey del Dipartimento dell’agricoltura, ha affermato che gli ultimi tre anni di siccità hanno prodotto seri danni sullo stato dell’acqua del suolo e del sottosuolo. Qui oltre ad aver dichiarato l’emergenza sono state prese diverse misure per fronteggiare il pesante impatto della scarsità d’acqua. Sono state emanate regole ferree per conservarla, e la gente taglia i consumi in ogni modo. La California e il suo stile di vita rappresenta per molti esperti climatologi una regione paradosso, che ci porta a riflettere sulla distorsione dell’elementare concetto di sopravvivenza. Da un lato i 1.140 campi da golf con i loro stratosferici consumi d’acqua per mantenere migliaia di metri quadrati di erbetta inglese, dall’altro si è addirittura arrivati a creare “poliziotti dell’acqua” che nelle città distribuiscono multe salate per “eccesso di consumo”. A questo simbolico esempio di idiozia planetaria in corso vanno aggiunti i dati reali. Un report dell’Università della California sull’impatto della siccità in agricoltura ha mostrato che sono già stati persi in disponibilità d’acqua 6,6 milioni di acri (il 36%, ndr), che c’è un brusco calo della produzione e che, se dovesse continuare (e le previsioni 2015/2016 parlano di altri 12milioni di acri persi), la regione ha davanti un futuro nero. L’estrazione dell’acqua di falda è passata dal 31 al 53% quest’anno e stando all’Università della California, che ha collaborato con il Dipartimento delle risorse idriche, ciò ha diminuito la capacità di ricarica degli acquiferi, il loro livello, la loro qualità, e aumentato la subsidenza della terra e i rischi connessi. Solo la Valle di Sacramento e del Delta hanno speso quest’anno 35,4 milioni (mln, ndr) di dollari in più per la necessità di estrarre acqua dalle falde, e nei prossimi due anni si prevede il raddoppio di spesa per il pompaggio (63,2mln nel 2015 e 65,5 nel 2016, ndr). Impatti economici osservabili nell’aumento dei costi di produzione di cotone, grano, girasole, frutta e verdura. Quello che era il fiorente indotto agricolo californiano nel 2014 ha visto il fallimento di molte imprese, subito un amento dei costi di 810mln di dollari per la perdita di terreni coltivabili, 454mln per pompare acqua di falda, 203mln per la pastorizia. E 17.700 persone hanno perso il posto di lavoro. Lynn Wilson della Kaplan University, che opera anche con la delegazione per i cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, ha ricordato che in passato le civiltà hanno dovuto migrare per mancanza d’acqua, e dichiarato che “dobbiamo aspettarci gente che emigra dalla California”. Oggi i californiani si vendono casa per spostarsi in Oregon o Colorado. In Texas, dove c’è già stata una massiccia migrazione, le cronache locali riportano che molti di essi sono partiti scrivendo fuori dalle loro case “diretti a Est in cerca d’acqua”.

Desertificazione e petrolio: il caso Basilicata. Certo in Colorado o in Texas non mancano problemi. Di recente la portavoce della Commissione trasporti texana ha affermato che hanno avuto più di 62 reclami per la contaminazione dei pozzi d’acqua dovuti alle attività estrattive di petrolio e gas. Anche la Colorado Oil and Gas Conservation Commission ha dichiarato che senza ombra di dubbio “c’è un impatto” sugli acquiferi, ma non sanno ancora se sia “sconsiderato” o meno. Il 17% di 2.078 pozzi ha le falde contaminate dicono, perciò hanno proposto di studiare anche cosa accade agli acquiferi profondi. Si sa, l’acqua è fondamentale per l’uomo. Proprio per ciò la Basilicata ha entrambi i fenomeni, siccità e contaminazione dovuta all’industria estrattiva. “Oltre ad essere soggetta ad aridità – si scrive nel 2007 nell’Atlante nazionale delle aree a rischio desertificazione dell’Istituto Nazionale di Economia Agraria – ha un’alta presenza di aree naturali scarsamente coperte, a causa dell’erosione del suolo”. Escluse le Isole con il 30,4% dell’intera superficie regionale siamo secondi nel Mezzogiorno come “aree a rischio desertificazione”. Desertificazione anche di abitanti visto il trend demografico negativo (foto1). Per l’acqua, che potrebbe scarseggiare in futuro, facciamo accordi interregionali al fine di garantirne l’utilizzo, la Basilicata è fondamentale per l’approvvigionamento idrico in Puglia e Calabria, ma da tempo molti attori sociali osservano i rischi di inquinamento degli acquiferi connessi all’estrazione petrolifera. Secondo lo studio “Vulnerabilyty of the karst acquifer” l’acquifero del Monte La Spina ad esempio, è particolarmente vulnerabile all’inquinamento (anche in modo molto elevato dicono, ndr). Monte La Spina che assieme al vicino Monte Alpi rappresentano la propaggine settentrionale dell’area protetta più grande d’Italia dove Eni trivella. Il pozzo Monte Alpi 9 or Deep è in prossimità d’uno dei più importanti invasi lucani, il Pertusillo. Il collega Eugenio Bonanata aveva raccontato nel 2012 quella “consegna al silenzio” nel Palazzo regionale sui dati e le pressioni sull’Istituto superiore di Sanità a “lasciar perdere” dettagli inquietanti sul suo inquinamento anche da idrocarburi. Anche successive analisi commissionate dalla professoressa Albina Colella dell’Università di Basilicata avevano evidenziato nel 2012 alte concentrazioni di idrocarburi totali alla foce del lago degli affluenti Spetrizzone e Scannamogliera, e del torrente Rifreddo. A giugno del 2012 era stato poi il ministro Renato Balduzzi, rispondendo a un’interrogazione dell’on. Rita Bernardini, ha sottolineare che dai campioni prelevati dall’Arpa a luglio del 2011 erano emerse alte quantità di idrocarburi totali. La faccenda, che ha visto denunciati in una sorta di gioco del potere e contro ogni principio di precauzione chi aveva denunciato anni prima l’inquinamento dell’invaso, è finita con la condanna del tenente Giuseppe Di Bello e l’assoluzione di Maurizio Bolognetti dei Radicali italiani. Intanto in Val D’Agri, sottolineava il collega Giorgio Santoriello pochi mesi fa, è già in atto una contaminazione delle falde.