Itrec, piano d’emergenza scaduto

13 luglio 2014 | 11:12
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Itrec, piano d’emergenza scaduto

L’impianto Itrec ha un piano d’emergenza esterna di durata quinquennale, infatti l’ultimo risale al 2008 ed è scaduto l’anno scorso: al momento il centro nucleare dell’Itrec non ha un piano d’emergenza aggiornato e valido, quindi in caso d’emergenza nucleare, eventualità prevista dal piano in questione, 

vi sarebbe un “preciso” iter di allerta ed evacuazione da eseguire.

Una catena di comando e controllo di cui il territorio, le istituzioni locali e la popolazione del posto sanno poco, quasi nulla, anche perché nessuna struttura pubblica coinvolta nel piano d’emergenza ha mai simulato un vero allarme, quindi l’addestramento all’evento ipotizzato è pari a zero. Perdonate i voli pindarici che troverete nell’articolo, ma l’esposizione dei contenuti è fedele al corpus testuale del piano stesso: un documento che più lo si legge più allarma, perché fa sorgere tanti interrogativi e tanti dubbi ma pochissime certezze.

La geologia della Trisaia è un catalizzatore naturale. Stando al piano di bonifica della Sogin, l’area dell’Itrec dovrebbe un giorno tornare a prato verde, quindi restituita a madre natura con un rassicurante verde superficiale: peccato che sotto al prato possa celarsi altro. Il piano d’emergenza del 2008 ricostruisce nella prima parte il contesto territoriale in cui ricade il sito dell’Itrec: geografia, economia, demografia, geologia, meteorologia, infrastrutture, idrologia; a tratti con particolare meticolosità in altri con superficiale approssimazione. Colpisce il primo parere dato alla qualità delle sabbie (quarzo albitico e calcite) e delle argille presenti naturalmente sotto al sito dell’Itrec: “studi sperimentali (fatti da chi, quando e come non è dato sapere) hanno rilevato che alcuni radionuclidi (Cesio e Cerio) sono trattenuti molto efficacemente dall’argilla e dalle sabbie del sito, mentre altri radionuclidi come lo Stronzio sono trattenuti in misura minore”. Quindi se si fossero preventivamente ipotizzate emissioni esterne di cesio 137, che ad oggi è il radionuclide più abbondante nelle rilevazioni Arpab su mare e fiume, allora il territorio sarebbe stato individuato perché geologicamente idoneo ad uno stoccaggio “naturale”, un sorta di enorme filtro già pronto. Si ma a spese di chi?

La fauna ittica sorvegliata speciale. Il piano continua con un’analisi statistica delle colture della zona, e dopo aver liquidato il settore terziario come “scarsamente sviluppato” (sicuramente lo studio è aggiornato agli anni ’80), passa all’agricoltura. Qui stupisce il fatto che l’enorme e variegata produzione agricola metapontina venga liquidata in un paio di tabelle mentre un’attività definita marginale come la pesca, riceva dall’autore del piano d’emergenza una strana meticolosità analitica. Infatti per la pesca vengono censite le famiglie della zona che la praticano, indicandone numero dei membri, quantitativi di pescato, tipologia della fauna ittica destinata all’autoconsumo ed eventuali punti di smercio del pesce esportato. Nei nuclei vengono censiti anche i minorenni inferiori ai 12 anni, probabilmente perchè gli effetti sanitari di eventuali radionuclidi diffusi all’esterno avrebbero su di loro dinamiche contaminanti differenti dagli adulti, fatto sta che la pesca viene attenzionata particolarmente, cosa che non accade per l’agricoltura, e guarda caso dagli anni ’70 (come documentato da Andrea Spartaco nei suoi articoli precedenti) fino al 2011 proprio in mare si registrano tracce di radioattività oltre la soglia naturale, con valori che proprio nel 2011 superavano quelli registrati per il fall-out di Chernobyl.

In caso di incidente, l’Itrec scaricherebbe subito in aria. A pagina 32 del piano, viene menzionato per la prima volta il “camino” dell’Itrec, uno struttura alta 60 mt, che fa parte del ciclo non proprio chiuso dell’Itrec, che oltre a scaricare in mare, potrebbe in alcune situazioni scaricare in aria: ma in quali occasioni? Il camino emetterebbe gas radioattivi in atmosfera in caso d’incidente nucleare all’interno dell’Itrec, ma funzionerebbe anche il resto dell’anno durante la normale attività. Infatti il camino ha dei filtri, definiti di tipo assoluto, e degli scrubber: il tutto pare sia super monitorato e controllato sistematicamente, tuttavia nel piano d’emergenza si ipotizza, tra le varie tipologie d’incidente, la caduta nella piscina di un elemento di combustibile, ed in tal caso quel camino sarebbe la valvola di sfogo nell’atmosfera dei gas radioattivi prodotti dall’incidente. Ma se un giorno ciò accadesse, la gente e le istituzioni locali sarebbero pronte ad affrontare l’emergenza? Più avanti il piano d’emergenza dà per scontato che dal camino dell’Itrec vengono emessi, senza specificare la cadenza, gas radioattivi come il Krypton 85 ed altri particolati, mentre i rifiuti prodotti all’interno dell’impianto vengono stoccati, riporto testualmente, in normali “fusti petroliferi”. Alla fine il piano d’emergenza ci tranquillizza perché a pagina 49 ci dice che, in caso di caduta nella piscina di un elemento di combustibile: ”la totalità dei radionuclidi gassosi, Krypton 85, sono rilasciati istantaneamente dal camino”. Grazie, ci voleva proprio, una bella notizia che più da piano d’emergenza sembra un piano di sicurezza interno del centro che non potendo far fronte ad una situazione preventivabile come questa, decide di scaricare in aria, su case, persone, terreni ed animali. Un ottimo lavoro non c’è che dire, un esempio di ciclo chiuso ove i lucani sono solo un effetto collaterale, perchè “I gas radioattivi uscirebbero dal camino se il sistema di ventilazione funzionasse, altrimenti uscirebbero sul piano campagna; lo scarico in atmosfera sarebbe contestuale all’evento ipotizzato” recita il piano: difficile rimanere tecnicamente lucidi dinanzi a queste parole che sanno di danno disumanamente calcolato, di cittadini italiani ed europei trattati ancora nel XXI secolo come pedine sacrificabili per un meccanismo che si incentra su dei rifiuti, si nucleari, ma scarto di altri: suona davvero di bestemmia. E dal camino non uscirebbe solo Krypton, ma vengono preventivati nel piano anche: cesio, stronzio, plutonio, uranio, torio, radon, trizio, europio, insomma buona parte della tavola degli elementi.

L’alta radioattività nell’Itrec. A pagina 33 c’è la tanto segreta mappa del sito, una planimetria poco chiara e leggibile corredata di legenda, la quale ci ricorda la storia ufficiale, e quella meno, del sito lucano. Infatti nella planimetria vengono evidenziate due aree, la 111 e la 112, rispettivamente: pozzi residui solidi alta attività e fossa residui solidi alta attività, ove per alta attività si intendono una vasta famiglia di sostanze che possono decadere anche nel giro di migliaia d’anni e che hanno effetti disastrosi sulle forme di vita. A pagina 38 appare per la prima volta la descrizione di un sistema difensivo in caso d’incidente: ”nel complesso dell’edificio di processo e del parco serbatoi è in esercizio continuo un doppio sistema di contenimento dinamico che in base alla tipologia d’emergenza, crea un’adeguata cascata di depressioni sempre maggiori passando verso zone ritenute a rischio più elevato. Il sistema crea anche le condizioni termoigrometriche adeguate, presso quei locali ove dovesse rimanervi del personale. L’altro sistema mantiene invece in depressione il contenimento primario del materiale radioattivo.” Parole vuote ed ostiche queste, delle quali i cittadini e gli amministratori non comprendono nulla di concreto, e quello che non si capisce difficilmente fa sentire al sicuro.

L’Ispra fa davvero tutto ciò che potrebbe? Tra le varie sostanze ricercate nelle analisi riportate nel piano, spunta il Plutonio 239 nella matrice limo fluviale. Perché cercare il plutonio nel Sinni? Cosa c’è di altamente radioattivo da cercare nel fiume, quindi all’esterno del perimetro Itrec? I dati ambientali era meglio non riportarli nel piano d’emergenza perché ogni volta che il piano si addentra nei tecnicismi si lascia scie di dubbi e contraddizioni. Ispra, che dovrebbe effettuare controlli periodici invece riceve solo i dati prelevati da altri (Sogin ed Arpab, quest’ultima solo da qualche anno), ed i dati citati sono fermi al 2005. Non sono illustrati i punti di campionamento e mancano all’appello diversi mesi per differenti analisi, il risultato è il solito pressapochismo di una democrazia incompleta. Anzi gli strumenti di rilevazione, desumiamo di Sogin, sembrano rilevare la radioattività “quasi per favore”, infatti col tempo Arpab chiederà a Sogin di affinare e precisare le rilevazioni impostate solo sui parametri di sicuro pericolo/contaminazione. Il discorso è sempre lo stesso: la scienza attesta in alcuni casi, e avanza possibilità su altri, che anche dinanzi ad esposizioni costanti e prolungate nel tempo, ad agenti inquinanti/contaminanti costantemente al di sotto della soglia di legge ma perennemente presenti, il corpo umano possa comunque ricevere danni cronici e/o mortali. Qualcuno a Sogin, che nella vicenda Itrec sembra controllore e controllato, l’ha spiegato? (Articolo scritto da Gianpaolo Farina e Giorgio Santoriello)