Termodinamico e olii diatermici: rispetto del Principio di precauzione

È ormai ben noto il tentativo di autorizzare una centrale termoelettrica ibrida, chiamata centrale “solare termodinamica”, nella Regione Basilicata. La tecnologia termodinamica a cui ricorrono i progettisti dell’impianto, in aggiunta alla combustione di milioni di normal metri cubi di gas metano, nasce per trasformare l’energia solare in energia termica ed infine, tramite una turbina ed alternatore, produrre energia elettrica da immettere nella Rete di Trasmissione Nazionale. Come per tutti gli impianti a tecnologia termodinamica, a concentrazione lineare, vi è un sistema detto collettore solare che raccoglie e concentra la radiazione solare normale diretta (DNI) su di un tubo contenete un fluido termovettore che viene riscaldato ad elevatissime temperature (dell’ordine delle centinaia di gradi centigradi) al fine di sfruttare al meglio la trasformazione dell’energia solare in energia termica. L’impianto previsto nella Regione Basilicata prevede come fluido termovettore degli olii sintetici chiamati diatermici che lavorerebbero alla temperatura di 390 gradi centigradi. In particolare, gli olii utilizzati sono prodotti dalla società DOW Chemical Company, chiamati “Dowtherm* A” e le quantità utilizzate per il ciclo industriale sono 3.338 metri cubi paragonabili ad oltre 15.000 fusti da 200 litri ciascuno. Ciò premesso, prima ancora di riportare una sintesi del significativo quadro normativo vigente, sembra più che mai utile soffermarsi sulle indicazioni dell’autorevole Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA) da sempre a favore degli impianti alimentati da fonte rinnovabile. L’Enea nel “Quaderno del solare termico” del Luglio 2011, afferma che “Gli impianti di seconda generazione si caratterizzano oltre che per le migliori prestazioni, soprattutto per il superamento dei limiti posti dall’utilizzo dell’olio diatermico come fluido termovettore. Questo fluido limita la temperatura massima di esercizio a meno di 400 °C, ed inoltre comporta rischi per la sicurezza e per l’ambiente, essendo altamente infiammabile ed inquinante”. In aggiunta a ciò, il Decreto Ministeriale del 11.04.2008 (G.U. n. 101 del 30.4.008 – Ministero per lo Sviluppo economico) intitolato “Criteri e modalità per incentivare la produzione di energia elettrica da fonte solare mediante cicli termodinamici” riporta all’art. 2. comma 1 lettera n) la definizione di “fluido termovettore” affermando che trattasi di un “fluido utilizzato nell’impianto solare per il trasferimento del calore raccolto dai captatori solari”. Inoltre, all’art. 4 comma 2 lettera b) prevede tra i requisiti tecnici minimi il non utilizzo, come fluido termovettore, di sostanze e preparati classificati come molto tossici, tossici e nocivi ai sensi delle direttive 67/548/CEE e 1999/45/CE e loro successive modificazioni. Afferma inoltre che il predetto requisito non è richiesto in caso di impianti ubicati in aree industriali. Il problema è più che mai rilevante dal momento che i 226 ettari che si vorrebbe occupare con l’impianto “solare termodinamico”, collocato in prossimità del Comune di Palazzo San Gervasio, sono terreni agricoli ad alta fertilità ed inseriti in un contesto agricolo ad alto valore agronomico caratterizzato dalla presenza di una strategica falda superficiale che si estende ben oltre i 226 ettari. Nella sola area di impronta occupata dall’impianto è possibile contare ben 15 pozzi artesiani. Ciò detto, per pronta memoria, si ricorda che il Consiglio dell’Unione europea con Direttiva 27 giugno 1967, n. 67/548/CEE (GUCE 16 agosto 1967 n. 196) all’art. 2 comma 2 indica come tossiche “le sostanze e i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, in piccole quantità, possono essere mortali oppure provocare lesioni acute o croniche” e con nocive “le sostanze e i preparati che, in caso di inalazione, ingestione o penetrazione cutanea, possono essere mortali oppure provocare lesioni acute o croniche”. La Scheda di Dati di Sicurezza (SDS) della DOW Chemical Company in merito all’olio diatermico “DOWTHERM *A” utilizzato come fluido termovettore nell’impianto “solare termodinamico” previsto in Regione Basilicata, riporta alla Sezione 11 “Informazioni Tossicologiche” che “durante l’ingestione o il vomito il prodotto può essere aspirato nei polmoni e provocare danni polmonari o perfino la morte dovuta a polmonite chimica” ed inoltre “piccole quantità ingerite incidentalmente durante normali operazioni non dovrebbero causare danni; tuttavia l’ingestione di quantità più grandi può causare danni”. Infine, nella sezione “Tossicità cronica e cancerogenicità” si afferma che “Contiene uno o diversi componenti che hanno causato il cancro in animali di laboratorio” e che “non si conosce la rilevanza del potenziale cancerogeno per l’uomo”. Inevitabile l’appello al rispetto del Principio di precauzione e al diritto/dovere di applicarlo da parte delle Autorità competenti. Principio introdotto con l’art. 3-ter nella parte prima “Disposizioni comuni ed ai Principi generali” del D.Lgs. 152/2006 (Testo Unico dell’Ambiente) grazie al D.Lgs. 16.1.2008, n.4. Il Principio di precauzione è stato previsto dall’art. 174, par. 2, del Trattato sulla Comunità Europea (TCE), oggi art. 191, par. 2, del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea (TFUE) e suggerito dal documento congiunto Ispesl-Iss del 29.01.1998 e dalla nota aggiuntiva Ispesl del 3 marzo 1998. Tale principio deriva dall’esigenza di un’azione ambientale consapevole e capace di svolgere un ruolo indirizzato alla salvaguardia dell’ecosistema in funzione preventiva anche quando non sussistono evidenze scientifiche conclamate che illustrino la certa riconducibilità di un effetto devastante per l’ambiente ad una determinata causa umana. La rilevanza e la cogenza del principio di precauzione è insito non solo nella definizione dettata dall’art. 3-ter, ma anche dall’art. 301 del medesimo decreto legislativo che ne prevede l’attuazione. Per tali motivi, il Principio di precauzione è pacificamente e incontrovertibilmente ritenuto cogente e deve rappresentare, come nella realtà già rappresenta, consolidato orientamento giurisprudenziale. Secondo l’interpretazione della Corte di giustizia e della Commissione delle Comunità europee, il principio enunciato nell’art. 174 del Trattato, è un principio generale del diritto comunitario la cui operatività non interviene solo nell’ipotesi in cui ricorra una minaccia di danni “gravi e irreversibili”, essendo sufficiente la semplice situazione di pericolosità presunta. A tal proposito, la Commissione ha evidenziato che “Il fatto di invocare o no il principio di precauzione è una decisione esercitata in condizioni in cui le informazioni scientifiche sono insufficienti, non conclusive o incerte e vi sono indicazioni che i possibili effetti sull’ambiente e sulla salute degli esseri umani, degli animali e delle piante possono essere potenzialmente pericolosi e incompatibili con il livello di protezione prescelto.” Dunque, nessun riferimento alla minaccia di danno “grave e irreversibile”. Si tratta del principio secondo il quale, al fine di garantire la protezione e quindi la cura di beni fondamentali, come la salute o l’ambiente, è necessaria l’affermazione da parte delle Autorità competenti, comunali e regionali, delle misure di cautela anche in situazioni di incertezza scientifica nelle quali è ipotizzabile una situazione di rischio. Il principio di precauzione rende quindi legittima l’adozione di determinate cautele prima degli interventi preordinati alla difesa dal pericolo. L’affermazione di tale principio rende legittima “la restrizione di alcuni diritti fondamentali, come l’iniziativa economica privata, per la peculiare natura di beni come la salute e l’ambiente, il cui danneggiamento non potrebbe essere adeguatamente riparato attraverso un intervento successivo, in considerazione della dimensione spaziale e temporale talvolta incontrollabile e della temibile diffusività dei potenziali eventi dannosi, dovuta anche alla reciproca interferenza e convergenza fra le potenziali fonti di danno” (Prof. S. Grassi e Dott. A. Gragnani, Università di Firenze). Sono ormai numerosi i contributi in materia di giurisprudenza costituzionale alla legittimazione del livello precauzionale di tutela come affermato nella sentenza n. 351/1999 da cui risulta che l’adozione di misure precauzionali di tutela della salute umana rientrano nell’ambito di applicazione dell’art. 32 della nostra Costituzione che in determinate situazioni legittima ed impone l’adozione di adeguate misure di cautela. Non mancano riferimenti in materia di giurisprudenza amministrativa come la sentenza n. 93/2010 del TAR Trentino Alto Adige, la sentenza n. 1341/2011 del TAR Puglia (Lecce), la sentenza n. 1360/2014 del TAR Lazio e l’Ordinanza n. 469/2013 del TAR Sicilia. Anche la Suprema magistratura dello Stato ha reso lapidaria l’affermazione del Principio di Precauzione come sottolinea il Consiglio di Stato con sentenza n. 4227 del 21 agosto 2013 secondo cui “fa obbligo alle Autorità competenti di adottare provvedimenti appropriati al fine di prevenire i rischi potenziali per la sanità pubblica, per la sicurezza e per l’ambiente”, sottolineando la distinzione tra principio di prevenzione e principio di precauzione ponendo quest’ultimo “una tutela anticipata rispetto alla fase dell’applicazione delle migliori tecniche”. L’applicazione di tale principio comporta inevitabilmente che “ogni qual volta non siano conosciuti con certezza i rischi indotti da un’attività potenzialmente pericolosa, l’azione dei pubblici poteri debba tradursi in una prevenzione anticipata rispetto al consolidamento delle conoscenze scientifiche”. Non di minore importanza del Consiglio di Stato la sentenza n. 6250 del 27.12.2013 con la quale si riaffermano gli indirizzi dettati dalla giurisprudenza comunitaria sul Principio di precauzione affermando che “in linea generale la tutela dell’ambiente ha trovato anticipata applicazione rispetto all’evento dannoso con l’introduzione, nell’ordinamento, del principio di precauzione in forza del quale per ogni attività che comporti pericoli, anche solo potenziali, per la salute umana e per l’ambiente, deve essere assicurato un alto livello di protezione. Relativamente alla natura giuridica ed al modo con cui il principio di precauzione è stato nel tempo declinato, il collegio non intende decampare dai consolidati principi elaborati dalla giurisprudenza, specie comunitaria (cfr., da ultimo, Cass., sez. un., 3 maggio 2013, n. 10303; Cons. Stato, sez. III, 4 marzo 2013, n. 1281; Corte giust., sez. II, 15 gennaio 2009, C-383/07; 13 dicembre 2007, C-418/04; 9 settembre 2003, C-236/01)”. A futura memoria affinché il caso “solare termodinamico” non diventi, come sicuramente non lo diventerà, un nuovo esempio di mancato rispetto del Principio di precauzione da parte delle Autorità competenti. (Ing. Donato Cancellara Ass. Intercomunale Lucania)