L’insostenibile leggerezza del petrolio

5 giugno 2014 | 18:08
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L’insostenibile leggerezza del petrolio

Immaginate di entrare in un supermercato, in un negozio di abbigliamento, da un parrucchiere, in pizzeria, da un meccanico, e in decine di altre attività in cui spendete i vostri soldi. Immaginate che sull’etichetta di qualsiasi prodotto che acquistate sia riportata la voce “costo di bonifica”, o “costo del cancro”.

Non è fantascienza, perché il prezzo dice la Ue, con queste voci di spesa che fanno parte della realtà e del consumo dei territori tramite estrazione di materie prime e produzione di beni e servizi sarebbe parecchio più alto. Converrebbe l’acquisto? Ce lo potremmo permettere tutti?

Produci, consuma per un po’, e poi crepa. L’European Environment Agency (EEA, ndr) sono anni che da’ indicazioni circa l’attuale e fallimentare modello di consumo. Da una parte, afferma, favorisce l’uso smodato di risorse (basato sulle energie fossili), dall’altra esclude i costi sociali. Estrarre materie prime e produrre oggetti di mercato consuma inevitabilmente i territori e deve considerare e inserire costi sociali come le bonifiche ambientali, la sanità. L’aumento tramite l’inserimento di tali costi, scrive nel 2010, potrebbe ingenerare una riduzione dei consumi di prodotti e servizi con alto impatto ambientale. Quali? Molte delle principali pressioni all’ecosistema dicono, sono create in Europa oltre che per la creazione di beni e servizi durante l’estrazione di risorse. In Germania per esempio, il consumo totale di materie (Total Material Consumption, ndr), che include risorse estratte dirette e indirette (dentro e fuori lo Stato), si è mantenuto stabile sino al ’90, per crescere tra il ’96 e il 2004 da 69 a 74 tonnellate a persona. Un trend dell’insostenibilità ovviamente valido anche per altri Paesi. Per la EEA dovremmo includerli nelle economie nazionali perché gli effetti del consumo di risorse comportano l‘esposizione a composti organici, prodotti chimici, metalli pesanti, e quindi inevitabili impatti sulla salute umana con i relativi costi sanitari e sociali. Ci sono ormai patologie accertate come sterilità, malformazioni, disturbi del sistema nervoso, disturbi del comportamento sessuale, cancro. E ci sono pure i paradossi. Nel 2008 è stato stimato che nella Ue la metà della CO2 prodotta è derivata da beni importati da fuori Europa. Magari acquistando prodotti scadenti e contaminati come le cronache riportano da anni.

I costi della contaminazione. In un altro studio del 2011 l’EEA fa il punto sui contaminanti immessi dalle industrie e monitorati dal Registro Europeo (E-PRTR, ndr). Nel 2009 i danni causati dalle emissioni sono stati stimati tra i 102 e 169 miliardi di euro. L’Italia con Germania, Polonia, Regno Unito e Francia, ètra i maggiori contribuenti. Il danno è analizzato attraverso un approccio che tiene conto dell’area di emissione dei contaminanti, della loro dispersione (con eventuali trasformazioni chimiche subite, ndr), del rischio di esposizione delle popolazioni vicine, degli “impatti” sul numero di decessi prematuri, malati, perdita di terreni coltivati, rischio ecologico, ecc. Infine quantifica in danaro ogni impatto. Per quanto riguarda le emissioni in aria l’E-PRTR ha diviso gli inquinanti in regionali e locali (ammoniaca, NOx, NMVOCs, PM10 e SOx), metalli pesanti (arsenico, cadmio, cromo, mercurio e nichel), e composti organici (benzene, idrocarburi policiclici aromatici, diossine e furani). Combinando i costi per ogni tonnellata di inquinante immessa in aria da un impianto, un settore, o una regione scrive, si può ottenere una prima stima del danno economico. Stima che necessita di essere approfondita con metodi specifici ed esaminando disposizioni precedenti come quella dell’Organizzazione Mondiale della Sanità chiamata CAFE per quantificare gli impatti di NOx e SO2 sulla salute. Bisogna anche analizzare la relazione Sorgente-Ricettore, sviluppata attraverso dati forniti da un modello di trasporto dei contaminanti, per definire il collegamento tra sito di emissione e sito di impatto. Capire l’esposizione ai metalli pesanti è più complesso per via del loro accumularsi nell’ecosistema, e richiede un focus d’attenzione all’ingestione oltre che all’inalazione. Inoltre le stime di deposizione variano regionalmente (con un coefficiente di variabilità del 20%). In Italia scrivono che la velocità di dispersione in aria di piombo e arsenico è di 0,42 cm al secondo (per gli altri metalli bisogna moltiplicare per 5/3). E’ possibile inoltre che l’impatto sulla salute sia maggiore se entrano in sinergia con polveri sottili, con mortalità e malattie associate a problemi circolatori o respiratori. In ogni caso gli effetti della maggior parte dei metalli, delle diossine, e dei composti organici si vedono nell’aumento dei casi di cancro.

Il valore della malattia. Esistono molti percorsi di potenziale esposizione a contaminanti, oltre all’inalazione, al consumo di prodotti vegetali e animali, all’acqua contaminata. La dose per inalazione, con impatto sulla salute solitamente basso, dipende soprattutto dalle condizioni locali (venti, altezza dei camini, ecc), dalla popolazione a rischio. La dose di ingestione è meno sensibile alle condizioni locali in quanto il cibo viaggia da una regione all’altra, e con esso si sposta il cancro. Ma nulla vieta che ovviamente entri anche in circolo localmente. Gli inquinanti cancerogeni per inalazione sono cadmio, cromo esavalente, nickel, 1,3 butadiene, particolato dei diesel, e formaldeide. L’arsenico inorganico, il benzene, gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) agiscono anche per ingestione. I costi dei danni sono calcolati moltiplicando gli impatti fisici (casi di cancro o ritardo cognitivo), con le appropriate unità di costo. Nel 2005 ogni cancro mortale costava nella Ue 2milioni di euro, 500mila per ogni cancro non-mortale (con una probabilità di sopravvivenza maggiore di 5 anni dal momento della diagnosi), e 9.300 euro per ogni caso di ritardo cognitivo (perdita del Quoziente intellettivo). E quell’anno si fermano le stime. L’unità di costo relativa al cancro riporta la EEA, tiene conto delle spese mediche, della perdita di salari e produttività (una persona che non lavora più), della disponibilità a pagare per evitare le sofferenze causate dalla malattia, e quando non si ha la disponibilità entra in gioco la previdenza sociale che copre i costi. E’ vero, in futuro i costi scenderanno del 3%, ma il calcolo non considera affatto l’aumento della previdenza sociale che si avrà. Non tutti potranno permettersi di pagare per alleviare le loro sofferenze scrivono, perciò i costi si riverseranno sulla spesa pubblica. Forse metteremo una tassa sul cancro di Caivano, Gela, della Val Basento e per pagarla dovremo paradossalmente acquistare cibi italiani, turchi, cinesi provenienti da terre dei fuochi?

Quanto vale un tumore in Val D’Agri e in Val Basento? La EEA prova a stimare gli impatti e i relativi costi economici causati da un certo numero di inquinanti immessi in aria secondo due parametri. Uno basso (VLS) che considera l’aspettativa di vita negli Stati, e uno alto (VOLY) che invece analizza il valore assegnato a ogni anno di vita perso. In Italia per i NOx si va da 8.394 euro a tonnellata (VLS) a 22.723 (VOLY). Per l’SO2 da 7.994 a tonnellata a 21.986 a tonnellata. Ora proviamo a ragionare sul costo dell’estrazione del petrolio in Basilicata tenendo ben in mente che il ciclo dell’oro nero comprende due raffinerie e un centro (ma già è pronto un altro) dove si smaltiscono i rifiuti che ovviamente producono emissioni. Dal 2001 al 2011 (mancano i dati del 2006) il Centro Oli Val D’Agri dell’Eni emette in aria 2.433.007 tonnellate di CO2. La CO2 nella Ue ha un costo del danno stimato in circa 50euro a tonnellata. Il costo sociale della CO2 emessa finora dalla raffineria Eni sarebbe dunque di 122milioni di euro? Ci sono poi quelle 1.262 tonnellate di NOx/NO2 e 5.201 tonnellate di SOx/SO2. Quante tonnellate di ossidi pericolosi se ne sono andate e se ne vanno in aria? E a quale costo sociale? Colpisce che in Val D’Agri si passi per i SOx/SO2 dalle 2,8 tonnellate emesse nel 2002 (l’anno prima non esistono nemmeno) alle 3.440t del 2010. Per l’altro Centro Oli di Pisticci non esistono dati. E a Pisticci c’è pure l’impianto di Tecnoparco Valbasento spa (società partecipata dalla Regione Basilicata) dove il ciclo del petrolio si chiude con la consegna dei rifiuti dell’oro nero. Tra 2001 e 2010 e nonostante i dati altalenanti (per diversi anni non esistono), immette in atmosfera 1.193.380 tonnellate di CO2, 1.613,5 tonnellate di NOx/NO2, e 3.902 tonnellate di SOx/SO2. Solo per la CO2 emessa avremo una stima dei costi sociali di oltre 50milioni di euro? Tenendo infine conto dei costi VLS e VOLY prodotti da NOx e SO2 quanto vale, nel caso specifico, il danno ambientale e sulla salute? Se l’estrazione del petrolio deve considerare questi costi qual’è il guadagno reale per i contribuenti lucani?