Il “tatticinismo” del Pd e la quasi vittoria di De Luca

9 giugno 2014 | 20:57
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Il “tatticinismo” del Pd e la quasi vittoria di De Luca

Era tutto scritto. De Luca avrebbe quasi vinto. E il centrosinistra avrebbe quasi perso. E’ accaduto. Adesso nel Pd si faranno il processo gli uni contro gli altri, si accuseranno a vicenda, ma nessuno affronterà la vera questione. Qual è la vera questione?

Per farla breve si tratta di una patologia politica. Una malattia che colpisce il centro sinistra da quasi trent’anni. Si chiama “tatticinismo”.  E’ una malattia originata dall’eccesso di furbizia e dall’arroganza nelle relazioni con i cittadini. Petrone, al primo turno, aveva almeno sette liste a disposizione. De Luca, se non sbaglio, ne aveva tre. Al primo turno ha prevalso il candidato del Pd per una semplice ragione non politica: i candidati nelle liste erano un esercito di oltre 200 persone capaci di raccattare consensi per se, di qua e di là. Parenti, amici, colleghi, cugini e conoscenti. Tutti portatori di voto senza una base politica degna di una prospettiva di cambiamento. Il risultato di Petrone nel primo turno non è altro che la somma di voti mucillagine, molecolari, individuali, sottratti al ragionamento politico e fondati sull’appartenenza amicale e parentale. Vecchio sistema adottato spesso dai partiti tradizionali nei piccoli paesi. Il pensiero calcolante che ha vinto al primo turno ha perso al ballottaggio. Perché? Semplice. I candidati delusi nelle liste del primo turno, consapevoli della strumentalità della loro candidatura, hanno deciso di tirare i remi in barca. Gli elettori del pianerottolo non hanno avuto più l’interesse a recarsi alle urne. E’ il fallimento della politica, è il fallimento della cosiddetta opinione pubblica che non esiste. E’ la vittoria del menefreghismo. Il Pd intanto si è adagiato sulla solita presunzione di vittoria. Dilettanti. Quando non esiste un progetto politico, quando non si può evitare il legame col passato, la sconfitta è certa. A parte i giochi interni per indebolire tizio o caio. La città ha scelto, seppure di misura, il candidato moderato, cattolico, apparentemente brava persona. Ha perso il decennio di Santarsiero, ha perso l’arroganza di certi assessori incapaci che hanno gestito il Comune come si fa col giardino di casa. Nel Pd lucano esiste una prateria di mediocri, di carrieristi, di “esaltati” che credono di essere i migliori. Vi garantisco che, molti di loro, non capiscono un cazzo. Allo stesso modo la massa di dirigenti e funzionari comunali che oggi tremano. Sono quelli che rappresentano una burocrazia che ha fatto disastri, grazie al Pd.  Il vero problema è dunque nella spoliticizzazione delle competizioni elettorali dove il tatticinismo ormai non paga. De Luca, che tenta di distinguersi in ogni occasione dai partiti che lo hanno appoggiato, commette un grave errore. È falsa la tesi, da lui sostenuta, che non esiste, nella sua vicenda elettorale, una differenza tra destra e sinistra. E’ evidente che lo hanno favorito la passione e la militanza di certi ambienti politici di destra. Adesso si apre la questione maggioranza in Consiglio. Se De Luca accetta accordi con gli sconfitti ha perso. Se il Pd deciderà di mandare all’aria tutto, impedendo al nuovo sindaco di governare, ha perso. Sarà difficile trovare la quadra. E ci auguriamo che il nuovo sindaco non ricorra a vecchi trucchi democristiani per evitare il ritorno alle urne, magari in nome della responsabilità. Una gaffe o un tentativo tattico l’ha già fatto proponendo Petrone a presidente del Consiglio Comunale. Lo sa caro De Luca che lei può proporre un bel niente? Intanto Marcello Pittella e la sua maggioranza sono autorizzati a preoccuparsi. L’esito delle urne è chiaro: il Pd è sconfitto, il centro destra è azzoppato, e De Luca rischia la vittoria di Pirro.