A Policoro sono tornati gli anni di piombo

16 giugno 2014 | 11:34
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A Policoro sono tornati gli anni di piombo

Il 7 giugno presso la Biblioteca Comunale di Policoro, con gratuito patrocinio comunale, è stato presentato il libro dell’ex-terrorista di destra Gabriele Adinolfi: lo scrivo senza virgolette, perché di ideologie e fatti ne dobbiamo parlare a petto scoperto senza paura alcuna. Mi hanno colpito le parole dell’amico e dottore, Ivano Farina, che sul suo sito d’informazione e cultura, Karakteria, ha legittimamente pensato di descrivere come offensiva la presentazione del libro di Adinolfi, etichettando come terrorista chi ad oggi non è stato ufficialmente condannato come tale. In Basilicata ci ritroviamo ancora a demonizzare le presentazioni dei testi, atteggiamento medievale che odora di shaaria islamica, riportando alla mente i versetti satanici di Rushdie: parlare di fascismo con i neo-fascisti è ancora tabù, forse perché si studia ancora poco o male la storia ed un certo primato morale la cara, vecchia e malconcia sinistra ancora non vuole perderlo. Intervengo fieramente e faziosamente per difendere il libro di Adinolfi, forse perché sono filo-fascista (catto-fascista), forse perché sono stanco degli intellettuali da tastiera, forse perché da laureato in scienze storiche sono stufo di ricevere lezioni da chi la storia l’ha politicamente manipolata per decenni a scopi culturali. Non ho mai abbassato la testa dinanzi ai soprusi, non mi sono mai girato dall’altro lato, non ho mai cercato il compromesso come via maestra: ho letto Giovanni Gentile, Volpe, Bottai, Mussolini, Rocco, Serpieri, Marinetti, D’Annunzio, Pirandello, Mori, Tassinari, Spirito, Longanesi, Malaparte, Montanelli, Almirante etc., e posso garantire agli amici-compagni che la fierezza dell’italianità che cerca di sopravvivere all’incombenza dell’odierna italietta mi deriva proprio da queste letture, perché il nazionalismo e l’amor di patria l’ho attinto da una cultura storica nazionalista e futurista prima e fascista poi che per sopravvivere ha preso dopo la seconda guerra mondiale diverse e discutibili vie. Questa la storia, anche personale, poi c’è la cronaca che è cosa ben diversa anche se usuale da sottolineare ad amici sinistrorsi, da sempre ansiosi di condannare il fascista dimenticando anche i ruderi fondamentali della scienza storica che non si scrive con gli atti giudiziari. La cronaca fatta di sentenze mai arrivate, depistaggi, condanne, latitanze e censure che per dovere di cronaca dovremmo citare, le lasciamo ai tribunali ancora silenti o ai libri di storia: Adinolfi è innocente fino a prova contraria e come tanti ex-terroristi di destra ha vissuto la sua latitanza da latitante e non da giornalista o da onorevole come tanti suoi colleghi di sinistra che ancora oggi vivono all’estero esili faraonici. Male fa l’amico Farina a dimenticare, penso volutamente, le altre verità uscite fuori da decenni di miope magistratura, su tutto le tre condanne per calunnia riservate a tre funzionari dei servizi segreti che additarono Adinolfi. Fuori dalla polemica, reputo interessante per la formazione di chi quegli anni né li ha conosciuti, né li ha studiati, la lettura del libro del Prof. Daniele Ganser, “ Gli Eserciti Segreti della Nato” che pur tra tante critiche, pubblicò anni fa un buon volume edito da Fazi Editore che ricostruendo la Rete di Gladio, anche se parzialmente, ha ripercorso con fluidità una fase delicatissima quale quella degli anni di piombo: fase che sconvolse la pace sociale in tanti altri paesi oltre l’Italia, delineando dietro le varie stragi dell’epoca equilibri ben al di sopra del solo terrorismo ideologico. Il libro di Adinolfi è stato presentato senza alcun contributo pubblico, ed è altresì interessate vedere come nella citata Wikipedia, l’amico Farina non veda che nella pagina di Adinolfi lo spazio occupato delle sue vicende giudiziarie non è superiore allo spazio dedicato alla sua attività culturale, e visto il soggiorno Policorese dell’autore, colgo l’occasione per dover di storia e non di cronaca, per rimarcare l’importanza sociale che nel Metapontino ed in Basilicata ebbe la politica sociale fascista fino al ’36, con la costruzione: della litoranea Jonica (106), dell’Acquedotto dell’Agri, dei ponti fluviali stradali e ferroviari, degli argini, dei canali, delle prime idrovore meccaniche e della rete fognaria, dell’intensificazione dell’attività delle cattedre ambulanti d’agricoltura e del contrasto alla malaria. Tutte tracce di un progetto nazionale che la stampa europea e non dell’epoca definiva: modernità, a cui oggi per convenienze culturali ancora conviene non guardare, cosa ancor più grave se fatta da chi dovrebbe insegnare alle future generazioni la storia all’interno di una scuola pubblica. Oggi neo-comunisti e filo-fascisti dovrebbero combattere per un’unica causa: la vittoria dell’idea sul denaro, l’autodeterminazione dei popoli contro i neo-colonialismi capitalistici. Una guerra che non si combatte sulla tastiera ma su strada e nei tribunali, mettendo in gioco la fedina penale, perché sono e sarò sempre convinto che un mondo senza ideologie è come una casa senza il padrone, in balia dei ladri: per questo motivo in un mondo che muore di ipocrita moderatismo, vera odierna dittatura, invidio ed ammiro gente come Gabriele Adinolfi e tanti altri italiani di destra e sinistra che oltre a vivere per un idea, hanno anche dimostrato di saper morire, a differenza dei tanti ignavi che affollano la nostra società come cadaveri-viventi. Così come i fascisti hanno chiesto il permesso per organizzare la presentazione del suddetto volume, in democrazia la libertà d’espressione deve e sarà garantita anche a tutte quelle persone che colte da malore per la presentazione di un libro, potranno invitare i parenti delle vittime di ogni strage classificata come tale a fare lo stesso, tenuto debito conto che anche stragi come l’ignoranza non sempre hanno giustizia.