Jobs Act, ipermercato del lavoro

7 maggio 2014 | 13:06
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Jobs Act, ipermercato del lavoro

Il “Jobs act” ha una logica da “ipermercato del diritto del lavoro”: ne assumi due per licenziarne tre. D’altronde, che ti aspetti quando si coopta al Ministero del Lavoro il presidente della Coop,esperto in precarizzazione e in depauperamento delle economie locali? La“nuova”, si fa per dire, politica sul lavoro di Renzi non è solo una legge anticostituzionale, ma è anche l’ennesima misura contro le persone a tutela della “razza padrona” della grande industria, della grande finanza e della grande distribuzione. Quella razza elitaria che un tempo faceva sporcare le mani a terze persone per socializzare i debiti e per privatizzare i profitti di quella famosa fabbrica dello Stato che si chiama Fiat e che da quest’anno parcellizza all’estero conti, tasse e occupazione. Ora si va dritto al sodo e si nominano nei ministeri gente direttamente interessata a condizionare logiche di mercato e diritti dei lavoratori. Al “Ministero per la delocalizzazione all’estero delle imprese italiane”, abbiamo, infatti, Federica Guidi, esperta, insieme al padre, nel riuscire a mantenere sia gli incentivi pubblici che il Made in Italy, pur essendo proprietari di aziende asiatiche. Il Jobs Act di Renzi è figlio di una precisa cultura politica italiana, dove un cartello di privilegiati, attraverso i partiti, occupa lo Stato e se lo modella a propria immagine e somiglianza, precarizzando non solo il lavoratore, ma addirittura il lavoro. In Italia, la disoccupazione è volutamente endemica perché si chiama “ricatto occupazionale”quella parte più schifosa del lavoro clientelare che i parlamentari della maggioranza Pd/Ncd/Lista civica, con appoggio esterno di Forza Italia e Sel, fanno sul territorio. Più si è precari più si può estorcere il voto nei rispettivi collegi elettorali, nell’ottica di quella cultura del voto di scambio che è dentro il dna di questa classe dirigente. I cui nonni analfabeti hanno combattuto il fascismo e il latifondo, mentre i loro figli sono diventati essi stessi latifondisti e fascistoidi. E nonostante le lauree raggiunte, non sono neanche in grado di ipotizzare una società migliore, con un’economia in cui convivono i diritti per i lavoratori, i principi di una ridistribuzione della ricchezza sul territorio e le regole chiare di mercato, necessarie a chi vuole fare in Italia impresa libera e non privilegiata. Questa classe dirigente politica non ha la cultura per abbassare le esorbitanti tasse sul lavoro, ridurre gli impossibili costi energetici e scuotere il concetto jurassico di tassazione sul quale reggono la nazione. E non ha le mani libere per togliere le tasse medioevali sui lavoratori, sul lavoro e sulle proprietà realizzate con i risparmi della gente, per tassare, invece e finalmente, le rendite dei grandi movimenti di capitale delle banche, l’occupazione dei suoli dei palazzinari, il maltrattamento industriale dell’ambiente (più inquini più ti tasso) e le plusvalenze che oggi si maturano grazie all’elevato grado tecnologico che, rispetto a 30 anni fa, abbassa notevolmente i costi di produzione della materia lavorata. Plusvalenze che vanno nelle tasche di pochi a danno della collettività! Nelle tasche di quelle lobby che obbligano a partorite leggi contro le persone, alle quali sono state tolte la dignità di guadagnarsi un lavoro per competenza, la possibilità di poterselo difendere per giusta causa, il diritto di andare in pensione e, persino, la serenità di una liquidazione di fine lavoro. Il riferimento è alla riforma del TFR, voluta da Tremonti e Maroni, ma anticipata di un anno da Prodi, allo smantellamento dell’art 18, passato con l’accordo di Bersani e il silenzio dei sindacati della triplice, e alla lacrimevole riforma Fornero, voluta e votata dal duo confindustriale Berlusconi – Bersani. Tre tiri tra i più “mancini” ammollati agli italiani negli ultimi decenni. Il quarto è il jobs act. Ma sarà quel troppo che stroppia e che seppellirà alle europee questa classe dirigente.

Vito Petrocelli, portavoce M5S al Senato della Repubblica