Sporchi affari, l’inchiesta che ci è costata una denuncia da Tecnoparco

20 febbraio 2014 | 18:37
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Sporchi affari, l’inchiesta che ci è costata una denuncia da Tecnoparco

Nel giugno 2012 abbiamo pubblicato alcune inchieste sugli affari legati allo smaltimento dei rifiuti petroliferi. Per quelle inchieste l’azienda Tecnoparco ci ha denunciati per diffamazione. Oggi la Direzione distrettuale antimafia ci dà ragione. Vi riproponiamo testo evideo 1 e video 2 di quanto raccontato due anni fa. 

All’inizio fu l’Anic. Poi arrivò Enichem, Snia, Calve sud, Adler, Nystar1 e 2. Infine Tecnoparco. Cosa è cambiato nella gestione del territorio e dei fondi pubblici? Ce lo spiega chi, nel polo di Pisticci Scalo, ha lavorato.

Guadagnarsi la giornata. “Molte volte sapevamo che non era corretto quello che facevano ma, e oggi me ne faccio una colpa anch’io, si chiudevano gli occhi per poter andare avanti”. Inizia così la nostra intervista a Vito e Agostino, lavoratori del polo industriale di Pisticci Scalo. Come tanti Vito è assunto negli anni ’70. Per 5-6 anni fa l’analista chimico, poi finisce all’officina strumenti come manutentore del laboratorio elettronico. Infine, diventa addetto alla manutenzione delle apparecchiature di processo delle acque reflue e del trattamento acque. “Io – continua – sono inquinato da amianto, abbiamo tutti una parte d’amianto addosso, e per avere oggi un piccolo riconoscimento bisogna fare i salti mortali tra ricorsi e avvocati, perché?”. E’ arrabbiato Vito, e per farci capire meglio la sorte dei 5000 addetti tra interni ed esterni ci ricorda che bisogna fare un giro nei cimiteri. “Nella mia cooperativa – interviene Agostino a rimarcare la cruda verità – eravamo 50-60, siamo restati una quindicina. Eravamo usati come bestie. All’Anic ci stava una sostanza chimica utilizzata che veniva aspirata e mandata nelle condotte per la produzione. E arrivavano prodotti da Inghilterra, Germania. Ci facevano lavorare senza maschere, guanti, respiravamo quella roba e ci dicevano ‘non danneggia guadagnatevi la giornata’, e invece a distanza di tempo tutti morti, e nessuno è stato riconosciuto”. “Per questi prodotti – specifica Vito – c’era il magazzino materie prime dove arrivavano acidi in polvere. Quei sacchi venivano presi con muletti e messi in una buca dove venivano aspirati e mandati in rete e a questi operai delle cooperative esterne come Agostino li facevano stare lì senza nemmeno le mascherine. Quando andavo lì a fare le manutenzioni li stimolavo, gli dicevo che erano dei pazzi, che dovevano chiedere le protezioni”. “Non ci davano niente – continua ancora Agostino – ci trattavano peggio degli animali, ci sono state persone obbligate a fare pulizie dove c’era un gas tossico e nessuno ci dava una mano perché se protestavi ti licenziavano”. E i sindacati? Chiedo. “Quando si faceva sciopero – sorride Agostino – facevano entrare noi esterni, erano proprio quelli del sindacato a dirci di entrare e poi ci facevano fare di tutto. Io personalmente ricordo che in uno sciopero venne un dirigente a chiedermi di far partire un processo anche se non ne sapevo nulla”.

Le porcherie tossiche. “Parecchie porcherie – prosegue Agostino – arrivavano dall’America. Facevano una puzza incredibile e bisognava lavorarle. Poi tutte quelle porcherie che uscivano dai processi industriali tipo i fanghi si caricavano con le pale su camioncini e si andavano a buttare all’aeroporto (Pista Mattei, ndr). Porcherie che una volta si bruciavano, un’altra si seppellivano, un’altra se ne andavano nel fiume”. “Sulla destra della pista – interviene Vito – c’era un sarcofago dove si metteva tutta quella roba”. Ma si faceva anche peggio. “Nel laboratorio chimico – continua – usavamo l’acido al 90% per la viscosità dei polimeri. Una volta finite le analisi l’acido veniva messo in boccioni di vetro e veniva scaricato là (Pista Mattei, ndr). Quando il parco antincendio doveva fare le dimostrazioni a volte si usavamo questi prodotti qua. Allora s’alzavano nuvole nere e immense da fare spavento, e ci stanno anche foto”. “Nuvole – s’intromette Agostino – che provocavano il vomito quando si respirava”. Usavano dunque rifiuti industriali, acidi e polimeri, per le prove antincendio. “Che danno hanno provocato? – si chiede oggi Vito – non hanno avuto giudizio prima e continuano ora”. Ricorda poi come nei periodi di siccità il fiume Basento è utilizzato per innaffiare i campi e come, 5 anni fa dalle bocchette di una condotta di rilancio su Marconia usciva melma. E oggi?

L’aria di cui non si parla. “Quando una decina d’anni fa il comune di Pisticci si lamentava – racconta Vito – chiedendo come facesse Tecnoparco a smaltire tutta quella roba se l’impianto era fatiscente, la risposta fu “noi lo stocchiamo”. Stoccare significa utilizzare quei 2-3 serbatoi giganti dove prima c’era il metanolo. Ma se arrivavano 200 autotreni al giorno come facevano a smaltire? Il trucco era che proprio in quella zona del parco, serbatoi della distribuzione liquidi, in direzione dell’Acn, dove c’era un impianto di fibre e s’utilizzava acido anche al 97%, c’è un canale alto 4 metri fatto tutto in mattoni antiacido. E’ una condotta che va direttamente al fiume. Se vogliono hanno tanti modi per scaricare direttamente nel fiume. Il territorio sta pagando un prezzo troppo alto, mi sapete dire che ce ne facciamo della costa del metapontino se arrivano acque di tutti i tipi e di tutte ‘ste schifezze?”. “Ma il problema – afferma – non è solo il fiume. Delle tonnellate e tonnellate di fanghi industriali da trattare che arrivano a Tecnoparco oggi, una volta che la società ha fatto le misure iniziali per cui le ditte pagano il prodotto che arriva in funzione della concentrazione di tossicità si passa al trattamento. Inizialmente in tutti gli impianti industriali e comunali il fango viene messo su un letto di pietra. Quando il sole lo essicca le acque se ne vanno e il fango resta. Quando è seccato viene buttato nelle zone di stoccaggio. Il problema grosso è che la quantità di fango che loro producono non può essere trattata in questo modo qua”. Ricorda infatti come prima solo per essiccare i fanghi interni della vecchia Enichem ci impiegavano 2 mesi. “Ma loro – continua – hanno accelerato il processo. Tramite una tramoggia lunga 15-20 metri dove c’è il getto di fuoco di un bruciatore a metano. Così dei fanghi buttati lì si bruciano i batteri e vengono seccati. Un processo industriale questo in cui Pisticci Scalo sta pagando un prezzo altissimo. Tutti i fanghi contengono i batteri e sostanze come cromo mercurio, e se vengono bruciati che succede?”. Si preoccupano solo del puzzo afferma Vito. “E hanno escogitato un’altra tecnica. L’Engel italiana – dice – una grossa società svizzera che andava a smaltire lì ha detto ‘non vi preoccupate, abbattiamo noi il puzzo, risolviamo noi’. E così si buttano dei profumi. Ma vapori e polveri sottili vengono immessi in atmosfera nella zona e tutte le persone sono a rischio. Nei periodi di lavorazione quando il vento non era giusto lì sotto non si poteva stare, immaginate cosa succede tutti i santi giorni.

Il cambio di residenza dei rifiuti. E fa paura un’altra cosa. La Regione ha rinnovato il contratto per lo smaltimento di questi rifiuti. Chi ha autorizzato? Chi sta nel Consorzio industriale? Quale prezzo paga la politica del territorio? Se la quantità di prodotto trattato è molto superiore a quella che può trattare un vecchio e decrepito impianto di trent’anni fa ci si deve pur chiedere cosa sta succedendo”. Ma anche per le quantità c’è una tecnica. E Vito fa un’affermazione forte, premettendo di rischiare nel raccontarci questi retroscena del business dei rifiuti ma che non ne può più di vedere un territorio trattato come una colonia per multinazionali e imprenditori che pensano solo ai soldi. E mi chiede di focalizzare su quanto sta per dirmi. Racconta che il trucco e che “fanno prendere la residenza ai reflui”. In che modo? Chiedo. “L’accordo che hanno – dice – é di trattare solo rifiuti regionali, di perforazione o industriali, invece li prendono da tutto il territorio nazionale. Come fanno? Hanno creato una società fantasma (e Vito ci fa anche il nome dell’imprenditore, ndr). Conclusione. I reflui arrivano a Matera, stanno là per due tre giorni poi ripartono per Pisticci Scalo con le carte messe a posto e i rifiuti che sono diventati interni al territorio, in modo da poter essere trattati lì”. Oltre a Vito è ancora un altro operaio a ricordarci invece cosa resta. “Io lavoro dentro quella che una volta era l’Anic. Il metodo è che l’azienda prende fondi dello Stato e dopo 5 anni va in crisi. Negli anni ’90 è arrivata la Snia e si è comprata Nystar1 e Nystar2. Non è campata nemmeno 10 anni. Così 450 dipendenti tutti licenziati. Oppure aziende come Apelle, prima Calve Sud, 5 anni e chiudono. E’ sistematico, dopo 5 anni chiudono. Una persona veniva assunta per due anni perché pagava la Regione. Nell’azienda dove lavoro io eravamo 220 dipendenti e siamo rimasti 120. Su 220 la maggior parte erano a contratto di formazione. A un certo punto l’azienda ha deciso di chiudere uno stabilimento perché erano finiti gli anni di corsi di formazione, non pagava più la Regione e pagavano loro. Quando l’industriale deve pagare di tasca propria si va in crisi. Miliardi che sono arrivati spesi male e rubati”.