Gli affari immobiliari al rione Santa Maria

4 febbraio 2014 | 16:24
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Gli affari immobiliari al rione Santa Maria

Vogliamo capire perché un ente pubblico dismette un patrimonio di grande valore ricavando mediamente meno di un quarto del prezzo di mercato. Ci sembra che la faccenda abbia funzionato come quel signore che avendo bisogno urgente di danaro è stato costretto a svendere i gioielli di famiglia. Quale urgenza aveva la Provincia? Quali ragioni inderogabili e di necessità hanno spinto l’allora Amministrazione a “regalare” appartamenti anche di pregio?

Quella decisione adottata il 15 aprile del 2004

Con Deliberazioni n.349 e n.91, adottate rispettivamente in data 28 ottobre 2003 e 30 marzo 2004  la Giunta Provinciale proponeva, quale obiettivo strategico, l’alienazione del patrimonio edilizio abitativo di S.Maria, facente parte del complesso immobiliare sorto nei primi del ‘900 e che doveva originariamente essere destinato a sede del Manicomio Provinciale. Il Consiglio Provinciale, con provvedimento n.26 adottato in data 15 aprile 2004, disponeva la dismissione del patrimonio abitativo stabilendo: a) di alienare gli alloggi di proprietà provinciale interpellando preventivamente i conduttori degli stessi in possesso di regolare contratto di locazione, al fine di consentire loro di esercitare il diritto di prelazione a norma deH’art.38 della Legge 392/78 e successive modificazioni ed integrazioni; b) di procedere – ove il diritto di prelazione fosse stato esercitato dal conduttore -alla vendita degli alloggi considerando il valore più conveniente per l’Ente tra le due stime determinate rispettivamente dall’Ufficio Tecnico della Provincia nel febbraio 2000 e dall’Agenzia del Territorio in data 13.2.2004 (…)

L’atto di indirizzo

Ai sensi del regolamento, articolo 2, le entrate derivanti dalla vendita dei beni hanno destinazione vincolante a termini di legge. Nel provvedimento che autorizza la vendita viene previsto anche l’utilizzo della corrispondente entrata. Quindi bisogna stabilire che fine fanno i soldi ricavati dalle dismissioni. Con la delibera n.91 del 30 marzo 2004 la Giunta provinciale aveva già stabilito la destinazione delle entrate per opere sociali. Nel frattempo mutano le condizioni e il 28 luglio del 2006 il Consiglio approva un indirizzo diverso, destinando i ricavi delle vendite, quantificati in 2.150.000 euro, per “soddisfare parte delle esigenze di lavori di manutenzione straordinaria al patrimonio immobiliare e scolastico.

Perché vendere?

Se nel luglio del 2006, con l’atto di indirizzo sembra che vi sia una certa motivazione a vendere, non pare vi sia una fondata motivazione nel 2004, quando cioè si è deciso di alienare il patrimonio. Addirittura, tra il 2003 e il 2004 la Giunta provinciale “proponeva, quale obiettivo strategico, l’alienazione…”  Che cosa c’è di strategico nel vendere tutti gli appartamenti di Santa Maria per realizzare non meglio identificate “opere sociali”? Sarebbe stato strategico ricavare risorse dalla rendita degli immobili per destinarle ad opere sociali, mantenendo la proprietà immobiliare in capo all’ente pubblico. Sempre che gli inquilini pagassero il canone a prezzi decenti. Ma la domanda diventa ancora più scottante se si considera il fatto che gli appartamenti non sono stati venduti, ma svenduti. Allora, che cosa c’è di strategico nello svendere un patrimonio per realizzare non meglio identificate “opere sociali”? Che cosa c’è di strategico nello stabilire un prezzo con una stima al 13 febbraio 2004 e vendere nel 2006 o anche nel 2008 a condizioni sicuramente mutate? Il comma 4 dell’articolo 9 del regolamento allora vigente, oggi abrogato, stabiliva che: “Quando è previsto il diritto di prelazione, lo stesso va esercitato con riferimento al prezzo di aggiudicazione d’asta- viceversa se è presente il diritto di opzione esso si esercita sul prezzo da  porre a base d’asta.” Perché applicare prezzi di vendita bassissimi a inquilini che, esercitando il diritto di prelazione, hanno immediatamente rivenduto l’immobile a prezzi di 4, 5 volte superiori al valore d’acquisto? Sia il diritto di prelazione, sia il diritto ad acquistare a prezzi di favore, dovrebbero essere legati a condizioni oggettive di bisogno degli inquilini i quali avrebbero diritto ad una casa che non hanno. Sarebbe motivata una procedura simile a quella utilizzata dall’Ater per gli alloggi popolari. Nel caso che denunciamo, invece, si tratta di episodi che riguardano anche persone già in possesso di una casa. Si tratta di vere e proprie operazioni di compravendita immobiliare in cui qualcuno (privato) ha acquistato a 10 (dall’ente pubblico) per rivendere a 50 (ad un altro privato). Bella strategia dell’interesse pubblico.

Ma non è finita

Nell’atto di indirizzo di cui alla deliberazione numero 48 del 28 luglio 2006 si legge: “le unità abitative oggetto di dismissione sono state riconosciute di notevole interesse culturale ai sensi del Decreto Legislativo n. 42 del 2004 entrato in vigore il primo Maggio del 2004;  la complessità dell’istruttoria di alienazione, aggravata dall’applicazione del precitato Decreto Legislativo, dalla differente posizione dei singoli acquirenti, dalla diversità degli ufficiali roganti e, non ultima, dalla necessità di garantire, a tutela dell’Ente, una omogeneità delle condizioni da inserire nei singoli contratti di compravendita ha determinato la necessità, per l’Ufficio competente, sia di avvalersi della consulenza ed assistenza di un Notaio che di uno specifico Piano di Lavoro biennale (…).” Dunque l’Amministrazione Provinciale sapeva che i palazzi di Santa Maria avevano il riconoscimento di “notevole interesse culturale”.  E’ evidente che questa operazione di svendita ha aggravato l’ente pubblico di ulteriori costi: Consulenza e assistenza notarile, piano di lavoro biennale. E’ evidente anche la complessità dell’operazione. Tutto questo, con quali vantaggi per la collettività?

Quelle svendite inopportune

E’ il caso di fare qualche esempio di svendita entrando nel merito dei parametri di valore dei singoli appartamenti. La zona, il rione Santa Maria, è considerata centrale, a ridosso del borgo antico, servita bene dalle linee bus urbane e dalla ferrovia. Un appartamento nella palazzina 4 al piano terra, categoria A/4 di 5,5 vani di circa 70 mq, con giardino comune recintato, vale, in base alle stime della Provincia, circa 35mila euro. Un appartamento nella palazzina 10, primo piano, categoria A/2, di 270 mq, con giardino esclusivo di 37 mq, vale 108mila euro circa. Un appartamento nella palazzina 13 al piano terra, categoria A/3, di 86 mq, con annesso scantinato e giardino, vale 43mila euro circa. Un appartamento simile, nella stessa palazzina 13 è stati venduto all’asta, sempre dalla Provincia ad un prezzo di 171 mila euro. Fate voi la differenza. E fatela sapendo che gli appartamenti di cui parliamo sono 43. Ha dunque ragione chi dice che è ipotizzabile un danno erariale di almeno 7 milioni di euro?

Ma chi sono i fortunati acquirenti degli immobili?

Inquilini in affitto. Gente normale. Magari morosa, anche se spesso i canoni si quantificavano in circa 20mila lire (10 euro) al mese. Ancora qualche ex dipendente della Provincia. Qualche nome che lascia immaginare parentele di un certo tipo. Niente di speciale. Loro non hanno alcuna responsabilità. Hanno semplicemente fatto l’affare. La responsabilità è di chi, con i soldi pubblici, ha permesso tutto questo. “I maligni” ci dicono che sotto ci sarebbero favori evidenti elargiti da politici. In cambio di voti o per legami parentali. Non siamo in grado di confermare questa voce. Ma il sospetto si fa strada.