Moro, la strage di via Fani, in scena allo Stabile con Pesce

14 gennaio 2014 | 16:39
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Moro, la strage di via Fani, in scena allo Stabile con Pesce

Il primo appuntamento con il teatro civile, del cartellone “Tutto l’anno una bella stagione”, organizzato dal Consorzio Teatri Uniti di Basilicata, andrà in scena venerdì 17 gennaio, alle ore 21, sul palcoscenico del Teatro Francesco Stabile di Potenza con lo spettacolo “Moro. La strage di via Fani”. Lo spettacolo, scritto dal giudice Ferdinando Imposimato , titolare dei primi processi sul caso Moro e da Ulderico Pesce, che lo porta in scena, è la rivelazione della verità di una delle pagine più buie della nostra storia. “Non l’hanno ucciso le Brigate Rosse, Moro e i ragazzi della scorta furono uccisi dallo Stato”. Questa frase è il fulcro dell’azione scenica ed è documentata dalle indagini del giudice Imposimato, che nello spettacolo compare in video interagendo con il protagonista e rivelando verità terribili che sono rimaste nascoste per quarant’anni. Il titolo dello spettacolo è “moro” con la “m” minuscola a voler sottolineare che nel cognome del grande statista c’è la radice del verbo “morire”. Come se la “morte” di Aldo Moro fosse stata “scritta”, fosse cioè necessaria per bloccare il dialogo con i social comunisti assecondando i desideri dei conservatori statunitensi e dei grandi petrolieri americani in Italia, rappresentati da Giulio Andreotti e Francesco Cossiga che, dopo la morte di Moro, ebbero una folgorante carriera e condannarono l’Italia alla “sudditanza” agli USA. Moro sente che uomini di primo piano del suo stesso partito “assecondano” la sua morte trincerati dietro “la ragion di Stato” e lo scrive in una delle ultime lettere che fanno da leit motive dello spettacolo: “Il mio sangue ricadrà su di voi, sul partito, sul Paese. Chiedo che ai miei funerali non partecipino né Autorità dello Stato, né uomini di partito. Chiedo di essere seguito dai pochi che mi hanno voluto veramente bene e sono degni di accompagnarmi con la loro preghiera e con il loro amore”. Il racconto scenico parte dai fatti del 16 marzo 1978 quando fu rapito Aldo Moro e furono uccisi gli uomini della scorta: Raffaele Iozzino, Francesco Zizzi, Domenico Ricci, Giulio Rivera e Oreste Leonardi. Raffaele Iozzino, unico membro della scorta che prima di morire riuscì a sparare due colpi di pistola contro i terroristi, era di Casola di Napoli e proveniva da una famiglia di contadini. Raffaele, alla Cresima, aveva avuto in regalo dal fratello Ciro un orologio con il cinturino in metallo. Ciro, quella mattina del 16 marzo era a casa e casualmente, grazie al vecchio televisore Mivar, vide l’immagine di un lenzuolo bianco che copriva un corpo morto. Spuntava da sotto al lenzuolo soltanto il braccio con l’orologio della Cresima. Questa è l’immagine emblematica che ricorre più volte nelle video proiezioni, questa immagine è la radice prima del dolore di Ciro, protagonista dello spettacolo. Questo dolore diventa rabbia, e questa rabbia lo spinge a rintracciare il giudice Imposimato titolare del processo al quale chiede di sapere la verità. Sarà il rapporto tra Ciro e il giudice, strutturato su questo forte desiderio di verità, a rendere chiaro al pubblico che la morte di Moro e dei giovani membri della scorta furono è “assecondata” dai più alti esponenti dello Stato italiano con la collaborazione dei Servizi segreti americani. Ulderico Pesce, attore e sceneggiatore lucano, definito dalla critica italiana: “l’esponente di spicco della nuova generazione dei narratori teatrali italiani”, si distingue per l’impegno civile del suo teatro, che va oltre il palcoscenico; lo testimoniano le petizioni che accompagnano i suoi spettacoli (per esempio “Asso di monnezza” e “A come amianto”). Il suo teatro urla e pone lo spettatore di fronte a delle responsabilità civili.