A Tito si muore di cancro tra i veleni

15 gennaio 2014 | 18:13
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A Tito si muore di cancro tra i veleni

Si muore di cancro ma non ci sono registri aggiornati. La politica regionale continua a fare promesse ma l’area da sottoporre a bonifica ambientale è tuttora una bomba piazzata sotto i piedi di ignari cittadini. 

Ci si ammala tutti i giorni a Tito (Potenza). Senza un colpevole. 

Morir di morte lenta. Lo sanno i medici curanti del paese e se ne parla in piazza. Lo dice anche il parroco durante l’omelia nel corso dell’ennesimo funerale. A Tito nell’ultimo anno c’è stato un aumento di morti e malattie legate a patologie tumorali. Siamo in un’area a rischio. Tito Scalo, infatti, è uno dei 44 siti industriali più inquinati d’Italia e in attesa di bonifica da 10 anni. E così a chiedere ”un registro dei tumori aggiornato” è Alessandro, un cittadino che parla in nome di una comunità di 7mila abitanti che vuole vederci chiaro. E purtroppo non rassicura neppure l’annuncio del neogovernatore Marcello Pittella. Che qualche giorno fa ha detto: “E’ in attesa di approvazione da parte della Giunta regionale una convenzione con l’Istituto di Sanità per l’attività di monitoraggio epidemiologico” nei siti lucani a rischio: e cioè in Val Basento e a Tito. Per la verità c’è poca fiducia nel lessico della politica. Anche perché sono passati troppi anni senza che nessun Ente si sia mosso. Mentre migliaia di persone sono state costrette a convivere con veleni annidati nei terreni e nelle falde acquifere. Si chiama “biocidio” questo lento avvelenamento che parte dalle viscere della terra in cui vivi.

I fatti: la chimica putrescente. Nel 2001 la zona industriale di Tito è stata decretata area Sin (sito di interesse nazionale) da bonificare con fondi ministeriali. E questo perché, a partire dagli anni ’70, ha ingoiato tonnellate di veleni chimici. Trielina, ammoniaca, fosfogessi provenienti dalla ex Liquichimica e dalla ex Daramic. Fabbriche di scorie che oggi si sono trasformate in piccoli cimiteri. Bombe a orologeria. I veleni prodotti, infatti , hanno contaminato terreni e falde acquifere. Già, parliamo delle falde del fiume Tora. Che poi affluisce in agli altri corsi d’acqua che irrorano Potenza. Per non parlare della radioattività riscontrata nel sito dei fosfogessi della ex Liquichimica resti dei fertilizzanti prima prodotti e poi seppelliti senza ritegno nei terreni della zona industriale. Ma si è lasciato scorrere questo marciume per decenni. Compromettendo la salute di migliaia di cittadini. E lo stillicidio in corso è ben noto da anni. Uno studio epidemiologico del Ministero della Sanità, infatti, già nel 2011 aveva lanciato un allarme inequivocabile.

Lo studio Sentieri: “Aumento delle patologie tumorali. Intervenite subito”. Lo studio Sentieri, commissionato tra il 2006 e il 2009 dal ministero della Sanità, si è occupato dell’incidenza delle morti per tumore nelle aree italiane più a rischio per la presenza di industrie impattanti e residui pericolosi. Tra i 44 siti analizzati compare anche Tito. Ecco cosa dice lo studio Sentieri, sulla popolazione di Tito, focalizzando l’attenzione sul periodo 1996-2002. “Nella popolazione maschile c’è stato un aumento delle patologie dell’apparato respiratorio”. E ancora: “Si osserva un eccesso di tumori del colon retto nelle donne”. C’è di più: “La mortalità perinatale (bambini nati morti, ndr) risulta in eccesso sulla base di 5 risultati osservati”. Lo studio conclude lanciando un monito. “Solo un’attività di sorveglianza longitudinale delle patologie potrebbe contribuire a una migliore interpretazione degli eccessi osservati”. Un monito che dal 2011 ad oggi ha lasciato indifferenti tutti gli enti preposti. Dal Dipartimento regionale all’Ambiente fino all’Arpab. Dalle Aziende sanitarie ai medici che operano sul territorio. Tutti spettatori silenziosi del ‘biocido’ avvenuto in questi anni. 

Il pannicello caldo promesso da Pittella. Ma il governatore lucano Pittella qualche giorno fa ha promesso un “monitoraggio epidemiologico”, non appena la Giunta regionale firmerà un accordo con l’Istituto Superiore della Sanità. Sorvolando sui tempi di attuazione dell’accordo, però, si tratterebbe pur sempre di un pannicello caldo che non sana né allevia le ferite. Proprio non si capisce, infatti, con quali dati del passato dovrebbe confrontarsi il monitoraggio futuro. Ce ne sono pochi e disomogenei di dati. Come sono irrisori quelli elaborati dall’ospedale oncologico di Rionero e relativi al fantomatico registro regionale dei tumori: una scarna banca dati pubblicata nel dicembre 2012 e che è ferma, sostanzialmente, al triennio 2005-2007. Si è fermato il tempo, in Basilicata. Figuriamoci la scienza a Tito!