Nel tempo dell’estasi culturale

7 ottobre 2013 | 17:30
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Nel tempo dell’estasi culturale

Nel 1868 Bastian definì l’estasi un brancolare semicosciente tra sogno e veglia come condizione normale. Un secolo dopo Mühlmann la descrisse come uno scambio tra apparenza e realtà. In fondo per etnologi e antropologi che studiavano le religioni si trattava d’una sorta di “pararealtà” tra mondo dei fatti e realtà del sogno. Tali discipline spiegano come forme di contatto con un aldilà, non ha importanza quale, quelle che chiamano estasi culturali. Jensen si spinse fino a dire che l’estasi rappresentava una delle cause prime d’ogni cultura. E il furore orgiastico tra mente e corpo prevede differenti modi di possessione estatica dell’individuo tipo terrore e spavento (tremendum, ndr), sopraffazione (majestas, ndr), straordinario e meraviglioso (mirum, ndr), e adescamento e seduzione (fascinans, ndr). I metodi e le tecniche con cui viene raggiunta una tale condizione, s’usava persino la tortura, sono gli stessi con cui si deve concludere l’esaltazione. Oggi la comunicazione, col suo advertising fa un po’ la stessa cosa. Terrorizza, meraviglia, ma seduce soprattutto. Ci adesca nella sua tela fatta di media che si differenziano tra loro oltre che per contenuti anche dal punto di vista dei principi in base al quale vengono codificati i messaggi che trasmettono (basti comparare i media classici con i news media tipo twitter o facebook), rappresentando di fatto una moderna forma di estasi culturale.

La (tele)visione del mondo

Punto centrale dell’estasi culturale è il modo in cui l’essere umano sperimenta il suo ambiente, e cioè ordina e attribuisce un significato a “cose ed eventi”. L’assegnazione d’una disposizione spazio-temporale e la descrizione delle forze responsabili dei loro movimenti nell’ambiente umano formano quella che viene chiamata visione del mondo. “Mio figlio Gregorio ha vissuto un dramma: da bambino non gli crescevano i muscoli”. “Ho successo in tv ma in amore sono sfortunata”. “Sono pronto a ricominciare con tua madre”, “A quarantanni amo una ragazza di vent’anni e ora me la sposo”. Sono alcuni dei titoli che si possono trovare su giornali che s’occupano di personaggi noti in tv e che oggi rappresentano un enorme business patinato anche in rete. Milioni di euro che in un certo senso ci danno anche l’idea di quegli ordini e significati del nostro ambiente che hanno la preminenza nella formazione della nostra visione del mondo. Sono migliaia i giornalisti che si sono formati per documentare guerre ad esempio, e che per non finire a vendere gadget davanti agli ipermercati hanno optato per il gossip, o la stampa nera, gialla, sportiva. Senza nulla togliere a tali forme di notiziabilità, alla base c’è quella che potremmo definire “visione televisiva” dei fatti. Confrontando in effetti le vendite di giornali o gli indici d’ascolto di format tv e network di questo tipo (alcuni dei quali e benché la critica tenda a delinearli come in fin di vita non sembrano mollati dal pubblico se si spendono ogni anno centinaia di milioni di euro per rifargli il look), scopriamo in effetti una situazione radicalmente diversa. Mentre testate e format d’approfondimento storici chiudono battente per fallimento di pubblico e sponsor, o conduttori d’assalto vengono scacciati con dictat governativi, pare che sapere da giornali cosa fanno le star al mare, quali sono le loro follie, e perché i loro denti non brillano o sono storti, è diventata una visione del mondo più importante di guerre, sfruttamenti di Company a danno di territori, migrazioni, e politica interna, quella che dovrebbe per paradosso aiutare i cittadini a migliorare lo Stato attraverso scelte democratiche e consapevoli.

Italian dream, abitare la pararealtà

Dunque in questa tele-visione del mondo vogliamo sapere in che modo s’arriva dal trono di Maria De Filippo al matrimonio, come i vip prendono la tintarella a Forte dei Marmi, perché rischiano di far esplodere il bikini o vanno in vacanza con i potenti. Prendere coscienza quotidianamente di fatti, comportamenti, e opinioni sconosciute non ci interessa più. Lo sconosciuto, l’interesse per ciò che ignoriamo, quello che delinea la sperimentazione del mondo e permette d’agganciare altre immagini culturali e ambientali del pianeta in grado d’aumentarne la conoscenza, sino magari all’esperienza trascendente, non serve più. Al massimo conta qualche giorno se c’è una strage. Come pochi giorni fa in quello che forse siriani libici somali eritrei definiscono, nel loro immaginario prima di partire, mar mostrum-mediterraneo. Oggi per capirci, e capire, abbiamo bisogno d’invertire questa “presa estetica”, se consideriamo l’ahestesis come i nostri sensi in rapporto al mondo. Ma il pubblico, badate bene, non la cittadinanza, si prefigge piuttosto il compito d’afferrare al dettaglio la realtà di quei mondi personali di vip conosciuti attraverso la tv. Guardando il fenomeno da un punto di vista semiotico, e tenendo conto che la vendita o la fruizione di tali format e giornali arriva anche a chi ha un basso reddito (gli si dà l’opportunità di sperimentare una vita non propria gratis o a 1euro o 50 cent.), probabilmente ciò accade perché abbiamo bisogno di crearci una nuova “relazione categoriale”. Se ci pensiamo, molto spesso il vip (attore-calciatore o quello l’imprenditore che diventa premier di Stato, sogno italiano oramai ed esempio estremo su tale scala), è uno di noi. Fattosi dal nulla, che arriva dal bisogno. E’ a quest’algebra del bisogno fondata sulla paura di non-essere che s’aggancia l’advertising mediatico e la costruzione d’un nuovo discorso pubblico che fa-essere ciò che vorresti (l’avatar dei social media). In questa post-moderna telegonia non c’è più l’uovo primigenio che si frantuma e origina il mondo, né il gigante o il fanciullo divino che fatto a pezzi feconda il pianeta, né le ossa macinate di Osiride che generano i chicchi di cereali che sfamano gli umani, né la salvezza della cristianità dal sangue di Gesù. Restano mostri, quelli sì, mediatici, elettronici, e le loro gigantesche parti sessuali (in fondo si tratta di fecondare coscienze attraverso l’etere, la rete e via dicendo) strisciano sulla terra compiendo incesti, divorandosi a vicenda, e soprattutto rinominando cose ed eventi. Come il coyote dei californiani, il corvo in Siberia, il maui in Polinesia, il coniglio africano, Prometeo per i classici e il diavolo per i monoteisti, è sempre un moderno demiurgo-imbroglione che con le sue estasi culturali fonda questo nuovo mondo facendoci dimenticare la nostra realtà per qualche ora.