“Borsellino vive”

19 luglio 2013 | 11:04
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“Borsellino vive”
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“Borsellino vive”

“E’ finito tutto”. Ancora riecheggiano dopo 21 anni le parole del vecchio giudice, Antonino Caponnetto, che diresse l’ufficio di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Parole cariche di disperazione pronunciate pochi istanti dopo che una Fiat 126, imbottita di tritolo, parcheggiata davanti l’abitazione della madre di Paolo Borsellino, dilaniò per sempre la vita del giudice e dei suoi cinque uomini della scorta Ma subito dopo, la disperazione di Caponnetto lasciò posto alla speranza: “caro Paolo, la lotta che hai sostenuto dovrà diventare e diventerà la lotta di ciascuno di noi.” Sono passati 21 anni dalla strage di via d’Amelio. Tanti, troppi. Eppure sembra ieri.

Ogni anno, ogni anniversario che si compie nel ricordo di quel tragico 19 luglio fa da spartiacque nella memoria di ognuno di noi. In quei mesi funesti, legati da una primavera che finiva con la strage di Capaci ed una calda estate che consegnava alla storia il sacrificio di un altro martire immolato alla causa della giustizia, la storia italiana cambiò di colpo. L’attacco al vero “cuore” dello Stato è stato cosa ben diversa dai seppur difficili anni di piombo. Si è trattato di uno Stato colpito dallo “stato”? Di certe “trattative” stipulate con quel cancro, che è la mafia e che ancora oggi non trovano risposta? Paolo Borsellino ed insieme a lui Giovanni Falcone checché se ne dica, sono stati i veri “padri” della Repubblica dal dopoguerra ad oggi. Servitori di una nazione che troppo spesso li ha bistrattati, traditi, oscurati, finanche calunniati. Servitori dell’Italia con un alto senso del dovere, dell’abnegazione, stritolati e schiacciati dal silenzio di chi sapeva ed ha taciuto.

Ogni anniversario pur se nel solco della tradizione aggiunge qualcosa di diverso nella memoria collettiva. Ma non è mera celebrazione: è quel passato che va di pari passo col presente, affinché non trovi nuovamente “linfa vitale” nella criminalità, affinché il sacrificio dei questi due uomini e degli angeli custodi in divisa che avevano il compito di difenderli, non sia stato vano. Il cancro mafioso non è stato ancora estirpato. E non si tratta più di bombe, lupare e coppole. La mafia indossa altri vestiti, è camaleontica, si fregia di altri consensi per poter agire indisturbata nei gangli della società italiana e non solo. Borsellino, com’è risaputo, era un monarchico. Ma nella Patria e nella Repubblica, ci credeva, fino a dare tutto se stesso. L’istituzione per lui non aveva colori politici. Servirla fino all’ultima goccia di sangue, questo il suo imperativo. E se da un lato c’è un integerrimo servitore dello Stato dall’altro c’è rilevare un palermitano che si preoccupava di fare i conti con la propria coscienza, come affermava lui stesso, mettendosi alla prova, in discussione, per capire se quel pane quotidiano che mangiava se l’era effettivamente guadagnato. 

Il seme lasciato da Paolo Borsellino, senza falsa retorica, ha avuto il merito, nella sua straziante tragicità, di far scattare una molla. Accendere una miccia, una presa di coscienza collettiva da parte dei giovani. Anche di chi probabilmente quel 19 luglio del ’92 non era ancora nato. A Potenza sul ponticello di via Di Giura, già dalla serata di ieri, vigilia dell’anniversario, campeggia uno striscione a caratteri cubitali che recita semplicemente: “Borsellino vive”. E’ opera di giovani, ne siamo certi. Frutto di quel seme straziato da un bomba infame e che oggi germoglia nelle “gambe di altri uomini” che fanno camminare le idee di quel seme piantato 21 anni fa. (Articolo scritto da Francesco Caputo)