Inquinamento radioattivo a Tito Scalo

22 giugno 2013 | 19:42
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Inquinamento radioattivo a Tito Scalo

“Sito non in sicurezza. Rifiuti non incapsulati ermeticamente”. A lanciare l’ennesimo allarme, 7 mesi fa, il geologo campano Vincenzo Briuolo. Affacciandosi sulle vasche dei fosfogessi di Tito Scalo, riscontrò ‘tracce di radioattività’. Pochi giorni fa anche l’Arpab ha confermato quelle tracce La messa in sicurezza del sito, invece, spettava al Consorzio Asi di Potenza. Che però ha scialacquato i fondi del Ministero. E ha fatto lievitare i rischi ambientali.

Salvatore: “Il sito lo abbiamo recintato e messo in sicurezza”

Ed è proprio il commissario del consorzio industriale, Donato Salvatore, qualche giorno fa, all’indomani della relazione dell’Arpab che certificava tracce di radio 226 sia accanto alla vasca di fosfogessi sia nelle falde sottostanti, ha subito giocato sulla difensiva, affermando su Basilicatanet: “Il sito era in sicurezza; abbiamo provveduto a mettere una recinzione che impedisse l’accesso a personale non qualificato”. Salvatore sembra esser sceso da Marte. Infatti ha aggiunto: “Convocheremo un tavolo…”. Ma nella foga di affrancare il suo Consorzio da ogni responsabilità. ha dimenticato un fatto saliente. La messa in sicurezza di fosfogessi e fanghi industriali, doveva consistere nel proteggere in modo idoneo quei “rifiuti pericolosi” finiti sotto sequestro nel 2001. Ventisette mila metri quadrati di “discarica abusiva” all’epoca sequestrata dal pm Woodcock. Veleni poi dimenticati per oltre un decennio. Lasciati in balia degli agenti atmosferici e liberi di intossicare la falda.

La bonifica fantasma

Nel 2001 il Ministero all’Ambiente decreta l’area di Tito Scalo sito di interesse nazionale. Da destinare a bonifica. Venticinque ettari avvelenati da amianto, falde contaminate, vasche contenenti acque reflue. E poi il perimetro più controverso: la magadiscarica. Fosfogessi, cioè scarti di lavorazione dalla ex Liquichimica, e fanghi speciali, che non si capisce da dove siano arrivati perché manca uno straccio di autorizzazione. Il Ministero, per avviare le caratterizzazioni, la messa in sicurezza e la bonifica, nel 2002 affida alla Regione Basilicata 7,8 miliardi delle vecchie lire. Nel 2005 la Regione affida quel gruzzoletto al Consorzio industriale. Mai scelta si rivelò più scellerata. Il Consorzio inizia a commissionare progetti e a distribuire prebende. Della bonifica, però, poche tracce.

Cartellino giallo dal Ministero

Nel 2008, infatti, il Ministero, dopo ripetute segnalazioni, denuncia che “lo smaltimento delle acque contaminate di Tito non è avvenuto correttamente”. Gli errori commessi sono grossolani. Ma il Consorzio continua a progettare e a spendere soldi. Tra le altre cose dovevano essere eseguiti anche degli studi radiometrici su fosfogessi e scorie siderurgiche. Ma nulla accade per diversi anni. Qualche giorno fa scoppia il bubbone delle ‘tracce radioattive’. Riscontrate dall’Arpab solo dopo anni di denunce finite nel vuoto. E proprio mentre monta lo scandalo, il Consorzio chiede di convocare un tavolo tecnico. Annuncia che a breve sarà nominato un esperto “per la sorveglianza fisica della radioprotezione e per la definizione di ulteriori misure da adottare”. Lo fa oggi perché messo alle strette. Però ha aspettato che quei veleni affiorassero dai teli che li contenevano. Il commissario Salvatore continua ancora oggi ad affermare che “la messa in sicurezza è avvenuta correttamente”. Una verifica puntuale, invece, dimostrerebbe ben altro.

Bonifica? No, centri commerciali e suoli ceduti

In questi anni più che bonificare il perimetro di 25 ettari avvelenati si è preferito fare altro. Cedere terreni a privati. Sono nate nuove attività in aggiunta a quelle che già c’erano. A cento metri dalla vasca dei fosfogessi ‘radioattivi’ è nato un noto Centro commerciale. Cosa c’entra tutto ciò con la ‘mission’ di avviare la bonifica? Niente. Si è badato a far cassa. Il risultato è che si sono esposte centinaia di persone ad un rischio che si poteva evitare. Potevano mai fiorire attività commerciali accanto a quei veleni? Eppure è accaduto. A breve arriveranno nuovi fondi ministeriali per la bonifica dell’area. Lasciare che vengano nuovamente gestiti da chi ha già compiuto questo scempio, sarebbe un atto colpevole. Otto miliardi di lire sono già andati in fumo. E qualcuno dovrà risponderne. Adesso non si sprechino i milioni di euro che arriveranno!

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