Passera e Letta copiano il fallimentare “modello Basilicata”

14 maggio 2013 | 16:42
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Passera e Letta copiano il fallimentare “modello Basilicata”

A pagina 69 del Def, Documento economico finanziario, scritto dal “banchiere” Corrado Passera, ma approvato dal governo delle larghe intese Pd/Pdl, si rende evidente la continuità politica tra i governi del “tecnico” Monti e del “politico” Enrico Letta e la volontà di questa classe politica di frenare lo sviluppo economico delle famiglie, delle aziende agricole e delle piccole medie imprese che rappresentano, invece, il vero tessuto di crescita della nazione e delle regioni italiane.

Ciò che è riportato a pagina 69 è un punto nodale che, a prescindere dalle altre schifezze sociali ed economiche contenute nel complesso documento di procedura economica per il 2013 e 2014, fa meritare al Def la bocciatura del Movimento 5 Stelle per evidente e voluta contrarietà agli interessi dei cittadini e dell’economia del territorio.

Dei 100 miliardi di euro (193.627 miliardi di vecchie lire) versati nel “Fondo Garanzia” (il 6,4 per cento del Pil), solo l’8,3 per cento, 8 miliardi e 318 mila euro, va a garanzia dei finanziamenti agevolati alle piccole e medie imprese, mentre l’85,7 per cento (il 5,5 del Pil), il governo lo dà a copertura dell’indebitamento delle banche e, di conseguenza, a garanzia indiretta delle obbligazioni bancarie private emesse dagli istituti di credito per catturare il risparmio delle famiglie italiane. Sono le stesse banche che, a loro volta, coprono i cospicui interessi che maturano sull’enorme debito pubblico italiano investendo in vantaggiosi titoli di Stato grazie al denaro a basso costo (0,50 per cento) ricevuto dalla Bce, Banca centrale europea, alimentando in tal modo un pernicioso e perverso sistema di debito pubblico che produce altro debito e altri interessi sul debito. La cui dimensione di debito, costantemente in crescita (oramai va verso il 130 per cento rispetto al Pil), consente di infinocchiare mediaticamente i cittadini convincendoli della necessità di una politica di rigore e di tagli ai servizi sociali, scolastici, sanitari, infrastrutturali e assistenziali. Cosa che invece non fa che aumentare i danni e i disagi delle famiglie, delle piccole e medie imprese, degli agricoltori e di tutta l’economia quotidiana già strozzata dai costi energetici elevati del Paese, i più cari in Europa.

A ben pensarci, il Def approvato dal governo Letta riporta al fallimentare “Modello Basilicata” di Vito de Filippo, l’intimo amico lucano del primo ministro in carica. Una Regione la cui casta politica non disdegna privilegi e ruberie e dove, già da anni, è evidente la funzione di laboratorio nazionale svolto dal “Modello Basilicata”, tra appalti e incarichi ben distribuiti tra Pd e Pdl, opposizione mediatica e non reale, e un modello di economia regionale che da decenni privilegia l’oligarchia finanziaria e di grande imprenditoria a danno del suo sistema locale di piccole e medie imprese e aziende agricole. Strozzate, ma anche beffate, è il caso di dire, dai costi energetici elevati, visto che la Basilicata, in cambio di disoccupazione, emigrazione e inquinamento, produce il 6 per cento del fabbisogno energetico nazionale.

Anic/Enichem di Pisticci, Ferrosud di Matera, Centro oli di Viggiano, Fiat di Melfi, Ferriere Nord di Potenza, salottificio di Matera e, in più, la vasta presenza di compagnie petrolifere, dall’Eni alla Shell e alla Total, per rimanere, dopo 20 anni di inquinamento e speranze disilluse, con il sistema delle piccole e medie imprese devastato, il turismo in calo, l’agricoltura ai minimi termini e in mano alle coop del Nord Italia, con il magro titolo di regione più povera d’Italia, secondo l’Istat, e con 2,8 abitanti ogni 1000 persone (circa 1800 lucani in toto) che abbandonano annualmente la Basilicata (secondo Osservasalute). Un dato, quest’ultimo, che da solo sconfessa il “Modello Basilicata”, ma anche i Documenti economici e finanziari che si perdono nell’affarismo nazionale e ripropongono modelli fallimentari.

Vito Petrocelli, portavoce del M5S al Senato della Repubblica