Scheletri di un’alluvione

20 aprile 2013 | 08:51
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Scheletri di un’alluvione

Siamo nel territorio di Pisticci, a valle del fiume Basento. Sotto una tettoia recintata si intravedono scheletri di pecore e mucchi di lana ingiallita. E’ ciò che resta, a Vincenzo, del suo prezioso  allevamento, dopo che l’alluvione del marzo 2011 gli ha devastato decine di ettari di terreno. Sono trascorsi 2 anni da allora. Ma qui il tempo si è come fermato, cristallizzato. Tutto è rimasto immobile come in un campo di battaglia alla fine della guerra. La macchina degli interventi pubblici che doveva ridare ossigeno agli ‘alluvionati’ si è  inceppata. “Io sono sugli elenchi ragionali ma il contributo di 23mila euro non mi può essere erogato perché non c’è copertura finanziaria”, si infuria Matteo, che ha un’azienda agricola poco distante, in agro di Pomarico. I tanto agognati ‘fondi per ripartire’ da queste parti restano solo un miraggio; e chi non aveva il gruzzoletto di famiglia né garanzie da fornire alle banche, è rimasto col cetriolo in mano. Storie di campi dimenticati. E di agricoltori che rischiano di essere nuovamente inondati dal “fiume cattivo”. Qualcuno, il fiume, lo vede scorrere a 50 metri dai propri campi coltivati ad orzo e cereali. L’incubo è sempre lì. Ad ogni pioggia, il Basento si ingrossa. E rischia di travolgere quel  po’ di produzioni che ha resistito alle piene precedenti. E’ un tormento che si perpetua all’infinito. Come se non bastasse la minacciosa presenza, nelle vicinanze, di un polo chimico e industriale, la ex Enichem, che mette a repentaglio la genuinità di quanto prodotto dalla terra. Come se non bastasse l’odore insolforato proveniente dalle vasche di Tecnoparco, che tratta anche reflui di derivazione petrolifera. Ci mancava anche ‘il Basento cattivo’ a complicare le cose. Clicca qui per continuare