Lettera aperta di risposta ad una lettera chiusa piena di insulti
Nel frattempo. Ecco, la Basilicata è una regione che vive “nel frattempo”. “Intanto che”, “nell’attesa di”, “sicuramente dopo che”. Un popolo tra parentesi, il futuro sempre appeso al filo del “non so che”Un territorio eternamente in attesa di un “prima o poi”, mortificato nel presente, tradito nel passato, illuso nel futuro. Siamo consegnati al tempo che passa, mentre la povertà dilaga e le delusioni si incazzano. La politica compra tutto e tutti, per vendere se stessa a un prezzo più alto. Da decenni. La burocrazia è da 150 anni indaffarata nel vuoto, incapace di servire i cittadini, molto capace di servirsi della gente e di conservare se stessa nella nullità. Un apparato amministrativo mediamente mediocre, dormiglione e pasticcione. Figlio della politica che lo ha creato. Nulla è cambiato dall’Unità d’Italia ad oggi, tranne i costumi privati. Oggi mangiano i soldi con la forchetta, per non sporcarsi le mani. Un tempo ficcavano la faccia nel piatto, applauditi dal popolo che sperava nelle briciole. C’erano gli agrari che frustavano i contadini. C’erano i caporali che ricattavano i braccianti. Oggi, centinaia di colletti bianchi accuratamente sistemati nella scacchiera del territorio, governano aspettative, sogni, illusioni di decine di migliaia di persone. Dietro di loro, la macchina del ricatto economico. Dirigenze, posizioni organizzative, carriere, promozioni. Assunzioni senza concorso, trasferimenti magici, prebende travestite da finanziamenti pubblici. Da 150 anni viviamo nella servitù, o meglio in un blocco sociale ed economico fondato sui principi della sudditanza. Ti concedono lo status di schiavo liberato quando accetti di fare il ruffiano o il portatore d’acqua al mugnaio di turno. E tu sai di che parlo. Gli uomini liberi non ce la faranno ad aiutarti se continuerai a nascondere le catene. Mostra la scudiscio che ti domina, strappa i finimenti che ti hanno fatto indossare. Smettila di ragliare. Parla, parla. E soprattutto spezza quel legame che ti fa mangiare, ma che non ti fa vivere. Accolgo gli insulti che mi hai riservato, sapendo che neanche quelli ti appartengono. Non sei nemmeno libero di insultarmi liberamente.