Marchionne non capisce dov’è il problema

15 gennaio 2013 | 22:51
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Marchionne non capisce dov’è il problema

Molte cose non capisce Marchionne. E da molto tempo.  In fondo ha ragione. Lui non può capire la sofferenza di un operaio che, come in un miraggio, scopre che l’acqua non c’è. Eppure quell’operaio aveva costruito la sua vita sul miraggio della Fiat. Sapeva che non si sarebbe mai arricchito, ma sperava in una vita normale, magari fatta di sacrifici normalmente gestibili. Oggi quell’operaio sa che la sua famiglia per un anno almeno dovrà vivere con l’elemosina della cassa integrazione. Crollano prospettive, si confermano paure su certezze fasulle, sicurezze traballanti ormai da anni. Gli operai subiranno un danno economico e piscologico. Marchionne, però, non capisce dov’è il problema. Poverino. Le aziende e i lavoratori dell’indotto non sanno a questo punto che fine faranno. Altre paure, incertezze, crisi di prospettiva a breve, per altre migliaia di lavoratori. Danni, molti danni. Un mese fa l’amministratore delegato della Fiat, insieme al presidente Elkann e al candidato premier Monti, è stato protagonista di un evento mediatico straordinario. In una cornice perfettamente organizzata sull’estetica della propaganda. Ha annunciato grandi investimenti. Non ha detto, però, che quegli investimenti avrebbero richiesto il sacrificio di migliaia di persone. Non ha detto che quell’investimento sarebbe stato fatto sulla pelle degli operai e delle comunità locali. Sempre che vi sia realmente l’intenzione di investire a Melfi.  Al momento l’investimento lo fanno gli operai, pagando di tasca loro la speranza contenuta in annuncio che nei fatti è tutto da dimostrare. Ventiquattro mesi di cassa integrazione sono un bel bottino. La ristrutturazione di una linea di produzione non richiede due anni. Lo sanno anche i bambini, ma non i sindacati. La tosse della produzione che dura da anni, stop and go, oggi si lavora, o anche no, doveva essere il campanello d’allarme per i sindacati e per la politica. Si è preferito abbaiare e, in alcuni casi, ragliare. La scena che ospita questa tragedia è offuscata da molti interrogativi. Marchionne è un manager dell’industria o un player della finanza? Lui ha salvato la Fiat fregando le banche. Questo lo sanno i bambini, ma non taluni sindacalisti. Marchionne è uno che sputa nel piatto in cui ha mangiato. Lo sanno anche i bambini, ma non taluni sindacalisti. Ebbene sì, come sempre, in ogni sfida campale degli ultimi trenta anni, lo sconfitto è il territorio, la Basilicata. Eppure assistiamo alle performance parolaie di certi sindacalisti che sventolano fraseggi inutili. Parole che sembrano tanti ruggiti di coniglio. Si apre la battaglia per le tessere in uno scenario drammatico. Le vittime saranno solo loro, gli operai. Assistiamo al silenzio della politica, responsabile dell’ignavia più odiosa. Una politica incapace di dare un’identità allo sviluppo della Basilicata, ma molto capace di nutrire se stessa. Incapace di fronteggiare le sfide importanti, ma molto capace di arretrare su se stessa in cambio di trenta denari. Pronta a salire sul palco delle inaugurazioni inutili nella speranza di portare a casa un pezzo di grottesco protagonismo. Per fidarsi di Marchionne basta essere degli sciocchi. Per non fidarsi bisogna essere competenti. E qui le competenze scarseggiano. Questi due anni di cassa integrazione saranno lunghi mesi di ricatti, di emarginazione, di compiacenze finalizzate al “si salvi chi può”. Insomma la tragedia è al prologo. Il finale non voglio neanche immaginarlo. E’ il momento di reagire con saggezza. Troppi ciarlatani in giro. Si sveglino gli intellettuali se esistono. Quelli veri. L’alternativa alla Fiat di Melfi è lo sviluppo senza Fiat a Melfi.