“Bisogna piantare gli alberi”

14 gennaio 2013 | 11:02
Share0
“Bisogna piantare gli alberi”

Professore in pensione, per 24 anni sindaco di Satriano, per 10 presidente dell’Anci. Oggi libero pensatore, leader dell’associazione Liberi e Forti. Un uomo genuino con il “vizio” degli ideali. Condottiero di battaglie possibili e impossibili

Sindaco di Satriano dal 1980 al 2004. Presidente dell’ Anci dal 1995 al 2005. Un pezzo di storia importante. Cominciamo da quel maledetto 23 novembre 1980. E’ stata una disgrazia. Ma il post terremoto con il piano di ricostruzione hanno rappresentato un’opportunità di sviluppo. O no?

In parte è stata un’occasione persa. E’ servita a consolidare centri abitati, a creare alcune infrastrutture, ma sul piano dello sviluppo complessivo è stato un flop. Basta farsi un giro nelle aree industriali. Sono rimasti solo i capannoni, vuoti.

Perchè?

Perché la filosofia che ha guidato il processo della ricostruzione post terremoto non ha tenuto conto della gente e dei territori. Partecipazione zero. Tutto costruito a tavolino dentro una febbre del denaro e dell’industrializzazione improvvisata.  Lo sviluppo non è  partito dal territorio, ma dalla  politica

Si spieghi meglio.

Per intenderci, la nostra specificità prima del terremoto basava lo sviluppo su due fattori: agricoltura  artigianato. Nella programmazione si è cercato di baypassare queste due dimensioni vitali, a vantaggio della cosiddetta modernità industrializzazione. Abbiamo così avuto opifici scollegati dalla realtà e dal territorio. I cosiddetti imprenditori del nord sono spesso scappati con la cassa, lasciandoci il deserto. Avremmo dovuto seguire le strade a noi più congeniali, l’agricoltura, l’artigianato, la piccola e media impresa a vocazione territoriale. I risultati a desso si vedono tutti.

E’ mancato un disegno? Una capacità programmatoria?

Io sono convinto che un disegno politico c’è sempre stato, quello di vivere alla giornata, e cioè non piantare l’albero oggi, ma raccogliere i frutti oggi. Un pensiero non a lungo termine. Una scelta decisa a guardare il presente per raccogliere i consensi elettorali nell’immediato.

Faccia un esempio

Penso ai tanti convegni sulle aree montane e rurali, sulle loro potenzialità di sviluppo. Tutto finito nel nulla. Eppure nella mia esperienza amministrativa e di presidente dell’Anci esistevano proposte serie e convincenti. Bisognava investire nell’ infrastrutturazione delle zone montane. Avevamo l’idea dei laghetti collinari che avrebbero prodotto energia per le attività produttive e per le famiglie, oltre che servire l’agricoltura. Avevamo proposte molto concrete. Io a Satriano il laghetto collinare l’ho realizzato, uno da 33mila metri cubi. Quel laghetto ha servito gli agricoltori, ma è servito e serve a produrre energia a basso costo. Grazie a quell’investimento adesso circa 15 famiglie a Satriano vivono di sola agricoltura. Se avessimo investito seriamente nell’agricoltura e sulle potenzialità vocazionali dei nostri territori oggi saremmo una regione diversa da un punto di vista produttivo.

Perchè questo dibattito sulle aree rurali è finito nel nulla? E nulla è stato fatto?

E’ sempre lo stesso disegno. Crea più consensi la speranza e la dipendenza che la libertà.  Se la gente è libera dalla politica che fa promesse e che ti ricatta sul bisogno, può anche rovesciare amministratori e classi dirigenti.  La possibilità di scegliere favorisce l’opinione critica e la partecipazione. Ossia la libertà. Questa libertà è un rischio per la classe politica che ha in mano le redini del potere. Quindi la strategia adottata fino ad oggi è stata: dare risposte ma non troppe, mantenere la gente in una condizione di dipendenza dal potere. Quindi certe cose non si devono fare. Anche se sono utili alle popolazioni.

Anni 90. Petrolio e accordo Eni. Lei ha fatto delle battaglie con l’Anci. Con la ricostruzione niente sviluppo, con il petrolio?

Già allora si parlava del contributo enorme che la Basilicata avrebbe potuto dare all’Italia in termini di fabbisogno energetico. Noi come amministratori ci rendemmo subito conto che il petrolio lucano avrebbe potuto avere un impatto di sviluppo maggiore che nell’esperienza scozzese. Mi resi promotore di un documento nel quale c’era l’esigenza di una vertenza petrolio nei riguardi dello stato e della regione, consapevoli che questa risorsa doveva essere utilizzata secondo i disegni delle comunità locali per il loro sviluppo. Ma negli anni siamo stati spodestati come amministratori, spodestati dal potere centrale con il bene placido del potere regionale.

L’Anci cosa proponeva?

Il diritto alla reciprocità, cioè se noi diamo allo Stato un bene nell’interesse comune nazionale, di rimando lo Stato deve considerare questo sforzo. Affermavamo quindi anche il diritto all’autonomia impositiva fiscale regionale e locale. Eravamo all’inizio del dibattito sul federalismo e si parlava già allora di patto stabilità. In quel dibattito era evidente il rischio di un ulteriore impoverimento delle nostre comunità. Volevamo un federalismo fiscale giusto, ma soprattutto un federalismo delle risorse.

Sia più preciso, c’erano delle proposte concrete?

Rivendicavamo una legge regionale che mettesse i paletti rispetto allo sfruttamento petrolifero, che avrebbero significato: a) chi controlla la quantità del petrolio estratto? Oggi il controllo è nelle mani della compagnie b) il controllo ambientale da chi è fatto oggi? Dalle Compagnie, altro che Arpab!, Noi rivendicavamo il controllo estrattivo e della qualità dell’aria e dell’ambiente da parte dei cittadini attraverso i Comuni dove insistevano i pozzi c) rivendicavamo ristorni di gran lunga superiore a quelli che oggi garantiscono le compagnie. A parte le royalties volevamo che ci fosse riconosciuto un risarcimento attraverso l’istituzione di un’accise statale di 10 lire sulla benzina. Avevamo chiesto l’occupazione anche attraverso la formazione, i fondi del petrolio non dovevano essere spesi come sono stati spesi oggi, per investimenti in  tutto e di più (piste da ballo, anche dove già esistevano). Avevamo indicato che l’utilizzo doveva essere per l’imprenditoria locale, fondi di sponda, per esempio. Tu non potevi finanziarie  investimenti  senza il cofinanziamento dello stato o dell’Europa. Non si dovevano usare i fondi del petrolio per finanziare infrastrutture che spettano allo Stato. E invece siamo caduti nella trappola della cassa per il Mezzogiorno: si finanziavano opere ordinarie (di competenza dello Stato) con fondi straordinari.    

Questo suo ragionamento che esalta le autonomie locali e le risorse loro assegnate è in fondo contradetto dalla realtà. Il Por Val d’Agri dimostra che la partecipazione dei Comuni sia al programma di investimenti, sia all’utilizzo delle risorse non ha dato grandi risultati. Anzi. Niente sviluppo, niente lavoro, molti sprechi, idee scarse.

Avevamo indicato una struttura a d hoc che avrebbe dovuto  programmare  territorio per territorio in sintonia con la programmazione regionale…

Si ma il Por è governato da un’autorità regionale che ha programmato con i Comuni, non ha funzionato.

Noi avevamo detto che bisognava finanziare soltanto iniziative che a chiusura cantiere avrebbero garantito l’occupazione per almeno altri dieci anni. Avevamo  suggerito, per esempio, la costruzione di una centrale termoelettrica che avrebbe creato occupazione, procurato  risparmio per l’energia ai cittadini e alle imprese

E’ mancata una capacità programmatoria? Sono mancate le idee?

Per l’amministratore avere finanziamenti freschi significa non perdere tempo e quindi continuare in quella logica che si è fatta con la Cassa per il Mezzogiorno. Se volevi fare l’acquedotto con i finanziamenti ordinari, dovevi aspettare  anni. Ma con la Cassa avevi i soldi in 6 mesi e quindi “sprecavi” quel denaro per fare opere che avrebbe dovuto fare lo Stato con risorse ordinarie. Soldi freschi per fare cose subito e incassare immediatamente il consenso, senza guardare al futuro.
Tutte queste idee erano contenute in una proposta di legge che l’Anci aveva messo a punto. Se fosse stata approvata all’epoca quella legge avremmo potuto anticipare molte cose. Parando i colpi dell’evoluzione normativa che è stata tutta a nostro svantaggio. Potevamo mettere  paletti forti nei confronti dello Stato e delle compagnie petrolifere. Ma i politici hanno preferito avere le mani libere. ”Meglio contrattare senza grossi vincoli che avere una legge regionale che mi vincola nella contrattazione con lo Stato e con i petrolieri”. Oggi le rivendicazioni sono legittime e ritardatarie, ma se nel 97-98 la classe politica avesse accettato di aprire la vertenza Anci sul petrolio oggi staremmo molto meglio.

Chi sono i nemici della Basilicata?

Noi stessi

Gli amici?

Non se ce ne sono amici della Basilicata perché laddove c’è ricchezza ci può essere qualche amicizia interessata, dove c’è povertà ci può essere pietà. L’amicizia interessata non serve allo sviluppo. Noi lucani dobbiamo fare una riflessione profonda. 

Pessimista?

No, anzi. Io ho portato il mio Comune, Satriano, a diventare uno dei 30 paesi in Italia dove si viveva meglio in termini di occupazione, servizi, sicurezza, ambiente. Insomma, in termini di qualità della vita. Questo significa che ci sono le premesse e le condizioni perché la Basilicata possa diventare una delle migliori regioni in Italia e in Europa. E ci sono anche le persone su cui investire risorse ed entusiasmo perché ciò avvenga. 

Cambiamo argomento. Il Garante per l’infanzia in Basilicata non esiste. Sappiamo che lei ha fatto una proposta…

La Basilicata aveva istituito la legge sul garante dell’infanzia prima ancora di quella nazionale ed era da questo punto di vista una regione all’avanguardia. Poi non so, il bando non ha trovato le personalità? Siamo diventati gli ultimi. Forse per la spending review, per il risparmio, non so.

Si è offerto di ricoprire quel ruolo senza alcun compenso. E’ vero?

Si, l’ho fatto perché ci credo, credo che occorre investire nel futuro e cioè nell’infanzia e non possiamo fermarci davanti a qualche migliaia di euro introvabili.

Cosa le hanno risposto?

Nessuna risposta.