“Caro Guido il Pdl è luogo di aggregazione”

10 dicembre 2012 | 18:18
Share0
“Caro Guido il Pdl è luogo di aggregazione”

Caro Direttore, le invio poche righe sulle recenti infelici dichiarazioni del Sen. Guido Viceconte al suo giornale, sotto forma di lettera aperta al loro autore.

Caro Guido, mi sono sempre imposto di vedere in te il nostro Coordinatore Regionale, figura di riferimento di tutto il partito, un politico che per caratura nazionale potesse e dovesse essere risorsa per il nostro partito regionale. Mi sono imposto di credere che tu potessi rappresentare quella figura di garanzia degli accordi precongressuali che hanno condotto a celebrare nella nostra Regione Congressi Provinciali unitari. Leggo la tua intervista, leggo la tua smentita, e da uomo di partito debbo dire che hai sbagliato, sotto plurimi profili. Se qualcuno, nel Pdl, è vittima della nostalgia di FI e del partito di plastica, pur di diverso avviso accetto la libera manifestazione di tale pensiero. Anche da chi, come te Coordinatore Regionale, dovrebbe contare fino a diecimila prima di pronunciare una sola parola che non sia espressione del partito tutto, che appaia frammentarne la percezione più che mostrarne l’unità. A cui non voglio certo impedire di esprimere il suo pensiero, anche se lo vorrei più cauto nel farlo. Ma non è accettabile il tono da “ o con noi, o fuori”. La terza lettera dell’acronimo Pdl è l’iniziale di Libertà. Se nei nostri principi ci fossero stati i gulag, lo avremmo chiamato Pdg. Caro Guido, fuori dal partito non puoi porre neppure me, neanche ora che ti dico che il passo indietro sulle primarie è stato un errore esiziale. E che lo stellone berlusconiano, carico della gloria di tante battaglie, va verso, se non la sua Waterloo, quantomeno la sua Lipsia. Il Pdl deve chiarezza ai suoi elettori, che chiedono giustamente spiegazioni per una stagione di riforme abortita, per una classe dirigente troppe volte inadeguata (non so, Guido, se a te succeda, a me no, nessuno mi regala mai appartamenti e vacanze), per un dibattito interno azzerato dalla contumacia dei suoi organi collegiali. Per i tentennamenti del povero Alfano, portavoce di una politica per i giorni pari e di una opposta per quelli dispari; la cui autonomia mi ricorda la teoria sovietica della sovranità limitata degli stati membri del Patto di Varsavia. Continuando così, del Patto di Varsavia condivideremo anche la fine, diverremo materia di studio per storici ed archeologi della politica italiana.
La discesa in campo (ma quante volte si può scendere sullo stesso campo?) di Berlusconi ha le sue logiche politiche, che non nego, di aggregazione elettorale e di ricostruzione di alleanze; forse meno evidenti degli interessi personali e di struttura a portare in parlamento una pattuglia di esponenti della nomenclatura e di yesmen, abbastanza numerosa da avere poi un qualche potere di condizionamento e di autotutela. Precipitare gli equilibri politici per votare con la legge elettorale odierna, da tutti pubblicamente aborrita ma da tutti voluta, ci darà qualche maggioranza senatoriale regionale. E contribuirà a costruire un Parlamento privo d’iniziativa. Se siamo già al tanto peggio tanto meglio (sono di provenienza AN, certi slogan li conosco da lunga data), non ci sto. Io credo nel Pdl casa comune dei moderati, dei cattolici, dei liberali, di chi scrive Patria e non paese, di chi si candida per portare voti pur sapendo che non sarà eletto e non briga a Roma per il posto in lista, di chi, se eletto, cerca di servire la comunità e non la propria rendita di posizione. Nel Pdl casa comune di chi pensa che in un momento di crisi dello stato nazionale l’unica forma possibile di governo per non finire in balia di poteri non elettivi sia quella presidenziale e maggioritaria, tendenzialmente bipolare. Nel Pdl luogo politico di chi è convinto che dall’attuale impasse economica si esca non solo tagliando l’imposizione, ma anche, soprattutto e di più, tagliando il moloch pubblico e le rendite di posizione; costruendo la crescita su scelte spesse dolorose, in cui non ci sarà posto per tutti ma nelle quali tutti dovranno avere l’opportunità d’esserci. E che non faranno mancare una mano tesa per chi non riuscirà ad esserci. Perché l’interesse della Nazione è più delle somma degli interessi dei singoli, altrimenti verrebbero meno politica e vivere associato. Tutto mi fa vedere  il PDL come luogo di aggregazione e non di conventio ad excludendum. Certo, per aggregare bisogna avere la forza di porsi in gioco, di dibattere le proprie idee, di confrontarle, di emendarle. L’esatto contrario del cercare riparo sotto lo stellone dell’Uomo della Provvidenza (sono passati novant’anni, su!) ed in slogan populistici che non porteranno voti e ci renderanno incompatibili con la prossima maggioranza. Con quella che, ci piaccia o meno, la congiuntura c’imporrà (con buona pace anche di Bersani e Vendola, sia detto incidentalmente). Per il qualunquismo, c’è già Grillo, noi siamo altro. Per questo, Guido, la tua intervista era a mio modestissimo avviso sbagliata nella forma e nel contenuto. E, mi duole dirlo, i toni della tua replica sono in contrasto con tutto ciò che è alla base della nascita del Pdl. A tutti capita di avere momenti di distrazione ed uscite infelici. Ai dirigenti del tuo livello è concesso meno che ad altri. Ad una classe dirigente si chiede meno zelo nel diffondere il verbo del capo, e più attenzione a riportargli la voce dei suoi elettori. Un capo ci vuole, non credo all’anarchia; ma scelto con un percorso di chiarezza, perché non credo neppure agli unti del Signore. Le spalline si conquistano sul campo, e non per sempre, perché solo con la condotta sul campo si conservano. Noi non siamo tra quelli che vogliono tutti uguali, perché sappiamo che vorrebbe dire appiattimento verso il basso. Noi siamo perché tutti possano partecipare in condizioni quanto più possibile di parità, ed emergano i migliori. Il contrario del momento di partito che stiamo vivendo e che tu pari plaudire. Agli elettori si rende conto dei propri meriti e demeriti, si sottopongono le proprie idee e si cerca il consenso su di esse. In non credo (vedi quante volte uso il verbo credere, non è né caso né povertà linguistica) nella politica del circo dei nani e delle ballerine. So che neanche tu ci credi. Ed allora, mostrati uomo del Pdl: rettifica la rettifica (sigh) e porgi le tue scuse al giornale ed al giornalista. Tutti sbagliamo, non tutti siamo in grado di emendarcene. Mostra a tutti che sei del primo tipo, come un dirigente del Pdl ha il dovere di essere.

Clemente Delli Colli, componente del Coordinamento Regionale del PDL