“Ucciso dal malaffare e da una giustizia perversa”

15 novembre 2012 | 11:57
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“Ucciso dal malaffare e da una giustizia perversa”

Era il 14 novembre del 2004 quando venne ritrovato il cadavere del compianto Giovanni De Blasiis, nel suo casolare di campagna alla periferia di Armento. Una morte strana, agghiacciante che ha finito per rattristare amici e anche i nemici del povero Giovanni, ucciso da una politica del malaffare consociata con una giustizia perversa di un sistema che qui in Basilicata continua a registrare errori a volte umani, ma molto spesso come usava dire “massonicamente voluti e pilotati”

Immagino il suo sorriso sornione di fronte alle notizie di questi giorni con esponenti della mafia lucana associati alcuni giorni con alcuni politici con la p minuscola, in altri, con alcuni uomini delle Istituzioni, delle forze di Polizia, Carabinieri, con pseudo faccendieri, con uomini del SISDE, dei servizi segreti e per di più con alcuni rappresentanti della stessa Magistratura.

“Riscoprire la moralità”, rileggendo proprio ieri uno dei suo tanti pamphlet nei quali cercava di spiegare ed associare gli strani rapporti tra la Politica, la Magistratura e la Massoneria, che era solito divulgare in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, Giovanni ci invitava con le parole di Sai Baba a “non dover accettare la menzogna nè tutto ciò che denota un fondamento di codardia”.
Purtroppo, nonostante il suo prezzo pagato ingiustamente, di codardi e di gente con la schiena non dritta se ne vede fin troppo in giro nei diversi ambienti.
Mi preme, però ricordare la sua azione meritoria. Fu grazie a Giovanni De Blasiis, che nacque in Basilicata l’ABS, l’associazione Basilicata spettacolo che attraverso una sinergia tra i comuni lucani si prefiggeva di esportare cultura e rappresentazioni teatrali ed il successo fu notevole. Oggi, purtroppo, non solo non si fa più cultura ma i responsabili che hanno fatto morire una delle iniziative culturali più autorevoli non sono mai stati puniti.
Dopo la brillante gestione con l’abbandono di De Blasiis, cominciarono gli anni difficili di un ente che per l’incuria anche dell’attuale Governatore della Basilicata Vito De Filippo e di molti enti locali hanno finito per decretarne il fallimento di un’esperienza positiva che era stata presa a modello da altre più prestigiose realtà.

La storia di Giovanni De Blasiis è stata caratterizzata da tanti successi e traguardi importanti, ma anche da amarezze e profonde delusioni che hanno finito per scalfire la sua provata sensibilità. Purtroppo, le esperienze della vita hanno finito per regalargli l’amara sorpresa di ritrovarsi ingiustamente rinchiuso in carcere. Da quando, all’alba di quel 7 giugno 1993, alle 5.30 si dovette catapultare dal letto per aprire agli “ingiustizieri” senza aver commesso alcun reato, iniziò per Giovanni ed i suoi più stretti familiari un doloroso ed inspiegabile calvario. Di certo quegli interminabili 11 giorni, dodici ore e trenta minuti di custodia cautelare, che spesso ricordava in ogni utile circostanza, hanno finito per influire molto nel sentenziare la sconfitta di un uomo onesto e intelligente umiliato nei suoi Valori e nella sua dignità costretto ad inchinarsi alla vita per la nefandezza della Legge che come gli avvenimenti nel tempo hanno dimostrato non è certamente “uguale per tutti”.
Ci vollero ben sette anni per dimostrare la sua innocenza attraverso cinque sentenze emesse rispettivamente dalla Suprema Corte di Cassazione, dal GIP, dalla Corte Europea per i Diritti dell’Uomo di Strasburgo e da ultimo dalla Corte d’Appello che quantificò in miseri vecchi 40 milioni il risarcimento del danno per l’ingiusta detenzione subita. Poca cosa di fronte all’ingente danno morale e umano che subì lui. Furono quelli, anni di battaglie giudiziarie, politiche, sociali, costruite con speciosità, sentenza dopo sentenza, rivolti a smontare e scardinare una ordinanza inopportuna, che come ebbe a scrivere lo stesso De Blasiis nel solito pamphlet aveva come unico vero obiettivo quello di “proteggere Massonicamente il vero potere politico lucano che, a tutt’oggi, impunemente, continua a farla franca”.

Nessuno vuol mettere in dubbio le capacità investigative di tanti magistrati onesti ed intelligenti come gli ex Woodcock, Montemurro, il mio caro compagno di scuola Pavese, o i Francesco Basentini di oggi alla DDA, ma De Blasiis ha sempre cercato di produrre circostanziate denunce contro il malaffare di un sistema consociativo Massonico-Politico-Imprenditoriale e Giudiziario che ha finito per salvare sempre i “furbetti del quartierino”. A distanza di anni gli attori e le comparse saranno pur cambiati, ma resta l’amarezza, che il sistema è sempre lo stesso, senza che nessuno riesca a scardinarlo.

Poichè, il tempo è sempre galantuomo, i fatti di alcune vicende di questi ultimi anni hanno dimostrato che c’era e c’è più di qualche talpa nei Palazzi di Giustizia, che blocca o smista su tavoli “distratti” gli esposti, addirittura le inchieste o le dichiarazione di un certo rilievo.
Anche la riapertura di alcune indagini da parte della Procura di Catanzaro, guarda caso la stessa in cui Giovanni, poche ore prima di compiere l’insano gesto aveva vinto la sua ultima battaglia, contro coloro che lo avevano fatto arrestare ingiustamente, ha finito per produrre alcuna giustizia e solo ulteriori costi per la collettività. Se qualcosa di nuovo si è smosso in questi anni, nei Palazzi inquirenti lo si deve soprattutto all’opera meritoria di De Blasiis e dei tanti che hanno ritenuto ribellarsi contro un sistema, che privilegiando sempre i mediocri furbetti ha finito per svilire ed immiserire sempre più la nostra regione.
Ho ancora vivo il ricordo di tante notti insonni, trascorse con lui nello spulciare atti, documenti, bilanci, strane note diramate dai “palazzi”, comunale, regionale, prefettizi, giudiziari, ministeriali, e dai quali si evinceva che persisteva un disegno consociativo ed una “cabina di regia” finalizzata a determinare gli affari, gli appalti, ma soprattutto il carrierismo politico e sociale nella “città dell’apparenza” e nella nostra amata Lucania.

A coloro, che con troppa facilità avevano espresso giudizi improvvidi, ai tanti che non hanno avuto modo di conoscerlo personalmente, ai suoi familiari, alla moglie Rossella, ed in particolare ai suoi cari figlioli, Claudio e Roberta, che non hanno potuto goderselo come meritavano, sento la necessità di rinnovare il mio dolore e la mia ammirazione per un Papà, che non era di certo un folle come forse, qualche indagato di oggi ha cercato di infangarlo, ma una persona di grande onestà intellettuale, di rigore morale, un luminare delle fonti giuridiche, un Politico serio che si è battuto sino all’ultimo contro i potenti e prepotenti.
Una persona, che purtroppo ha finito per pagare un prezzo troppo alto rispetto all’ingratitudine umana. Anche io, come tanti altri avverto ancora oggi l’irresponsabilità di averlo lasciato solo nella sua battaglia. Una battaglia, che doveva essere di tutti ed alla quale ciascuno di noi come sostiene da sempre don Marcello Cozzi “può riprendere a combattere per riaffermare una società sempre più giusta ed onesta”.

Grazie Giovanni, per quanto hai fatto per la nostra ingrata comunità e per le tante battaglie di libertà che hai voluto intraprendere da solo per condannare una Giustizia che come eri solito ricordare “si applica per gli Indifesi, si ignora per i Potenti e si interpreta per gli amici del Clan”.

Rileggendo alcune pagine di inchieste importanti di ieri e di oggi, sono sempre più consapevole, che gli autori dell’incendio della mia macchina, proprio all’indomani del ricordo sulla stampa di Giovanni De Blasiis di qualche anno fà, hanno un nome ed un cognome. Senza alcuna codardia, avverto anche oggi l’opportunità di ricordare l’amico Giovanni e di ignorare e di non farmi intimorire dai quaquaraquà della misera società lucana.

Gianluigi Laguardia (giornalista)