La giustizia? Ma mi faccia il piacere!

23 novembre 2012 | 16:50
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La giustizia? Ma mi faccia il piacere!

Il mondo della giustizia è un mondo a parte. Mentre da più parti, univocamente, si invoca l’instaurazione del criterio della meritocrazia, nel mondo ovattato dei magistrati no. Dato per scontato che non tutti i magistrati siano dei padreterni del diritto, avendo la mediocrità pervaso ogni microcosmo, e quello del diritto da tempo, e sebbene loro la pensino presumibilmente, e a grande maggioranza, diversamente, non si capisce perché la carriera i magistrati la facciano esclusivamente per anzianità. Questo sistema, filosessantottino, e che ricorda benevolmente il diciotto politico, consente a chiunque di conseguire i gradi, con l’unico requisito del suo progressivo rincoglionimento. E quindi, più si avanza con l’età, più si fa carriera, a prescindere, come direbbe Totò.

A prescindere dalle capacità, dai meriti, dagli insuccessi. Di conseguenza la Suprema Corte di Cassazione che decide a mò di Dio, non essendo le sue decisioni emendabili, anzi creando precedenti cui i magistrati territoriali fedelmente si attengono, non è formata dalla crema della magistratura, cioè dai migliori, dai giuristi, dai pensatori e studiosi, no, ma da magistrati che possono non aver mai dato modo di farsi apprezzare per particolari qualità essendo finiti a Roma con una semplice domanda e con la contestuale casuale vacanza di un posto, se non proprio per la classica raccomandazione. Però le decisioni della Cassazione sono macigni che ti cambiano la vita, perbacco, e che condizionano la successiva giurisprudenza.

Ebbene quelle decisioni vengono affidate a chi si è trovato a Roma in virtù di molteplici concomitanze, esclusa quella di averlo meritato. Il magistrato di Cassazione, poi, ha questo assoluto privilegio, quello, cioè, di interpretare la legge in maniera significativa, condizionandone l’evoluzione: per esempio il magistrato di Cassazione non può perdere tempo a sfogliare molte carte, e allora si è inventato, col legislatore, poi, fido esecutore, il principio dell’autosufficienza del ricorso per Cassazione. Tradotto per i comuni mortali significa che nel ricorso ci deve essere tutto perché il magistrato non vuole neanche prendere in considerazione l’ipotesi di sfogliare cartacce. Il ricorso, insomma, va servito a tavola, con tanto di gentilezza, cura dei particolari, e comprensivo di tutto quanto occorra, magari anche della matita rosso e blu per sottolineare gli eventuali errori degli avvocati e un cioccolatino tanto per aggiustare la bocca.

Questi e altri mille esempi stanno a testimoniare come l’intento dei magistrati e del legislatore sia esclusivamente quello di disincentivare il ricorso alla giustizia, che è quanto di più incivile un popolo possa meritarsi. La giustizia dovrebbe essere di facile accesso, con procedure semplici, veloce e poco costosa, perché è un bene superiore, proprio di tutta la comunità, che, con una giustizia buona e celere, vive meglio e più serenamente, oltre a rendersi più ospitale nei confronti di chi voglia venire a investire da noi tempo e danaro.

Ma quella dei magistrati è una casta. Una vera casta. Non come quella colabrodo degli avvocati, che sono troppi e che sono stati messi nelle condizioni di farsi la guerra di sopravvivenza l’uno con l’altro. La casta dei magistrati non è toccata dal governo Monti, che, invece, sta distruggendo quella degli avvocati. Ma non mi dispiace, in fondo. La categoria degli avvocati ha bisogno di cadere più in basso ancora, se possibile, per poter risorgere.