Diffamazione di serie A e di serie B

27 settembre 2012 | 19:06
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Diffamazione di serie A e di serie B

“Ho avuto per anni l’ingenuo convincimento che a rispondere dei propri delitti fosse chiamato non solo chi materialmente li aveva commessi ma anche chi sapeva”

Dopo la condanna per diffamazione comminata al sostituto commissario Mennuti non posso non chiedermi con un senso crescente di disagio ed amarezza se ciò che stabilisce una sentenza sia giusto anche sotto il profilo delle considerazioni morali. Me lo chiedo perché chi amministra la giustizia deve ancora spiegare alla mia famiglia come è stato possibile che un assassino sia rimasto impunito per 17 anni e ancor peggio gli sia stato consentito di tornare ad uccidere ancora.

Sono obbligato a chiedermelo perché ho avuto per anni l’ingenuo convincimento che a rispondere dei propri delitti fosse chiamato non solo chi materialmente li aveva commessi ma anche chi sapeva e ha taciuto, i complici, i conniventi e quanti per negligenza o incapacità non hanno fatto il proprio dovere.

E ancor più devo chiedermelo leggendo quanto scrive il giudice Giovanni Conte ritenendo le affermazioni fatte da Mennuti diffamanti “in quanto lesive del decoro professionale della dott.ssa Fasano e della funzione da lei rivestita”. La stessa dott.ssa Fasano, all’epoca dei fatti Capo della Squadra Mobile di Potenza, che intercettata a telefono esprimeva considerazioni di grande acume investigativo e di rara umanità, commentando la scomparsa di Elisa con frasi del tipo “Da una famiglia così sarei scappata anch’io” e ancora “un padre inesistente, una madre e due fratelli ossessivi, chi resisterebbe in quella casa”. Avrei tanto voluto che le sue deduzioni fossero risultate esatte cara dott.ssa Fasano, e che invece di ritrovare dopo 17 anni i resti martoriati di Elisa in un angolo buio le sue brillanti considerazioni ci avessero restituito Elisa e il suo sorriso. Potrei continuare elencando altri stralci di quelle intercettazioni ma sono sicuro che queste siano sufficientemente illuminanti per dare il senso alto del decoro professionale e soprattutto delle funzioni che in quel momento ricopriva. Non mi risulta che in quelle frasi qualche giudice abbia ravvisato una condotta lesiva della dignità della mia famiglia e della memoria di Elisa. Ancor peggio non ho avuto contezza anche solo di un provvedimento di censura da parte della Polizia di Stato nei confronti di un suo funzionario che si esprimeva con tanta leggerezza rispetto ad una vicenda per noi così dolorosa e devastante  e che tante ferite aperte ha lasciato nella nostra comunità. Rispetto ancora una sentenza ma ciò non m’impedisce di manifestare a nome mio e della mia famiglia stima e affetto per Antonio Mennuti, per esserci stato vicino e per avere sempre indossato la divisa con il decoro che ogni servitore dello stato dovrebbe sempre tributare.

Gildo Claps