C’era una volta il magistrato d’assalto

6 agosto 2012 | 12:59
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C’era una volta il magistrato d’assalto
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C’era una volta il magistrato d’assalto
C’era una volta il magistrato d’assalto

Molti di noi avranno avuto la stessa sensazione in questi ultimi anni. In assenza di “magistrati d’assalto”, un territorio può vivere tranquillamente nella routine dell’ingiustizia e del malaffare senza accorgerseneLa gente non ha nulla da temere quando nulla si sa di ciò che accade sotto casa. Ci chiediamo quanto malaffare si è sviluppato negli anni in Basilicata prima che qualche magistrato mettesse seriamente il naso in certe situazioni. Ci chiediamo che cosa sta accadendo oggi che la magistratura non sembra così sveglia come in altre circostanze. Chissà. Il tempo, se ne avremo, ci dirà qualcosa.

L’ERA WOODCOCK 199-2009. Dal settembre 1999 Woodcock è stato magistrato presso la procura di Potenza da dove ha lavorato assieme a Luigi de Magistris. A Potenza ha svolto le funzioni di pubblico ministero per oltre dieci anni ed è stato protagonista di inchieste importanti. Dall’11 settembre 2009 è in servizio alla procura di Napoli nella sezione reati contro la pubblica amministrazione.

LE PRIME INCHIESTE DEL PM ANGO-NAPOLETANO. Appena ricevuto l’incarico a Potenza, istruisce un’inchiesta su Mario Campana, allora dirigente della Cancelleria del Tribunale Fallimentare della procura stessa, accusato di vendere in proprio gli immobili derivanti da fallimenti. Alla confessione dell’imputato seguì una condanna a 20 mesi e 25mila  euro di risarcimento. L’anno successivo, nel 2000 lavora ad un’inchiesta sulla Banca Mediterranea di Potenza, con l’accusa di falso in bilancio per aver emesso crediti inesigibili a favore della Icla una società facente capo a Paolo Cirino Pomicino e già coinvolta in indagini su infiltrazioni di stampo  camorristico. La legge 366 del 5 ottobre del 2001, varata dal governo Berlusconi, depenalizzò alcune fattispecie di questo reato. Woodcock nel maggio 2005 depositò un ricorso presso la Corte Costituzionale contro questo provvedimento, non sappiamo com’è finita. Nel 2000 sostiene l’accusa in un processo verso due ragazzi accusati dell’omicidio di un’insegnante, conclusosi con la condanna degli imputati. Nel 2002 ottiene visibilità precedendo di pochi giorni, con la sua inchiesta, un servizio televisivo della trasmissione TV “Le Iene” sull’acquisto di patenti di guida presso la Motorizzazione civile di Potenza.

LE TANGENTI INAIL. Ancora nel 2002 Woodocock lavora sull’inchiesta delle “tangenti Inail”, che vede alcuni dirigenti dell’istituto corrotti per favorire l’assegnazione di appalti a società compiacenti. L’inchiesta, nata per caso da una piccola indagine su un illecito amministrativo minore, si conclude con 20 arresti, di cui alcuni eccellenti come il direttore generale dell’Inail Alberigo Ricciotti e la scoperta di una vasta rete di corruzione che coinvolgeva anche il gruppo Eni-Agip. Da qui partì l’inchiesta sulle “tangenti del petrolio”, che portò ad altri 17 arresti, incluso quello di Carlo Fermiani, dirigente dell’Eni. La rete di corruzione arriva a coinvolgere a vario titolo, oltre ai fratelli De Sio, da cui era partita l’indagine, il banchiere Claudio Calza, Vito de Filippo (allora vicepresidente della giunta della Regione Basilicata), i deputati Angelo Sanza (Forza Italia) e Antonio Luongo (Ds), il generale dei carabinieri Stefano Orlando. L’iscrizione di quest’ultimo all’albo degli indagati, spinge il senatore a vita Francesco Cossiga a intervenire nel dibattito: l’ex-presidente, di cui Orlando fu responsabile alla sicurezza, si lanciò in una serie di grevi ironie e insulti al pool di magistrati che curavano l’inchiesta, tra cui Woodcock, Gerardina Romaniello e Giuseppe Galante. Le accuse vennero tuttavia confermate il 13 giugno 2002 dal Tribunale del riesame, e solo 6 degli indagati (tra cui Orlando) furono rimessi in libertà o ebbero la pena convertita in interdizione dai pubblici uffici. L’inchiesta arrivò ai primi arresti nel tempo record di soli 12 mesi dall’apertura del fascicolo. Molti degli indagati sono stati in seguito scagionati dalle accuse.

L’INCHIESTA IENA 2. Il 22 novembre 2004 fu la volta dell’operazione “Iena 2”, sui legami tra criminalità e politica nella gestione degli appalti in Basilicata. Accusa il deputato di Forza Italia Gianfranco Blasi (che sarà completamente scagionato) di legami con il clan mafioso dei Martorano, legato a ndrangheta e camorra: il deputato avrebbe, secondo l’accusa, favorito aziende legate al gruppo in cambio di sostegno elettorale. 51 arresti, tra cui il presidente della Camera Penale della Basilicata Piervito Bardi, e nell’inchiesta compaiono: un consigliere comunale di Forza Italia e i deputati Antonio Luongo (DS, già coinvolto nell’inchiesta Inail) e Antonio Potenza (Udeur); la posizione di quest’ultimo, dopo la ricezione dell’avviso di garanzia, si è definita con un’archiviazione richiesta dallo stesso pm. Le accuse non reggono la prova del Tribunale del Riesame, e le richieste di Woodcock vengono respinte, nonostante il tribunale del riesame riconosca gravi indizi di reità in ordine ai delitti scopo dell’associazione mafiosa. Il massiccio annullamento dei rinvii a giudizio di questo processo spinge il ministro Roberto Castelli a istruire un’indagine sull’operato del pm Woodcock, inchiesta che non ha riscontrato nessuna scorrettezza nell’operato del pool.

TOTALGATE. Poco prima del trasferimento il magistrato anglo napoletano, (dicembre 2008), chiude le indagini preliminari su un presunto giro di tangenti legato ad appalti per le estrazioni petrolifere in Basilicata. Il relativo avviso riguarda 35 persone (delle quali 29 saranno poi rinviate a giudizio) tra queste, l’amministratore delegato della Total Italia ‘Esplorazione e produzione’ Lionel Levha e altri tre dirigenti della stessa Total, il deputato del Pd Salvatore Margiotta e l’imprenditore Francesco Rocco Ferrara, ritenuto “personaggio chiave” dell’inchiesta, la cui cordata di imprese si è aggiudicata appalti per le attività connesse alle estrazioni petrolifere. Ai dirigenti Total (oltre a Levha, Jean Paul Juguet, responsabile del progetto estrattivo ‘Tempa Rossa’, Roberto Pasi, capo dell’ufficio di rappresentanza lucano e un suo collaboratore, Roberto Francini) e all’ex sindaco di Gorgoglione (Matera) Ignazio Tornetta, il pm contesta di aver costituito un’associazione per delinquere per ‘pilotare’ gli appalti relativi al cosiddetto ‘Progetto Tempa Rossa’ di sfruttamento dei giacimenti petroliferi. Secondo l’accusa, i dirigenti della Total avrebbero favorito l’aggiudicazione degli appalti dei lavori per la realizzazione del Centro Oli di “Tempa Rossa” e per altre attività estrattive alla cordata capeggiata dall’imprenditore Ferrara: per l’appalto del Centro Oli, in particolare, sarebbero state addirittura sostituite le buste delle offerte. In cambio, sempre secondo il pm Woodcock, sarebbe stato stipulato un accordo commerciale da 15 milioni: tutte le imprese della cordata Ferrara si sarebbero rifornite per cinque anni solo di carburanti e di oli lubrificanti Total. Nell’inchiesta, che portò all’arresto di 11 dei 35 imputati, fu coinvolto anche il deputato del Pd, Salvatore Margiotta, per il quale venne richiesta ma non ottenuta la custodia cautelare (giudicato e assolto) , e il presidente della Regione, Vito De Filippo, per una ipotesi di reato, favoreggiamento personale, ritenuta marginale dagli stessi inquirenti (posizione archiviata per insussistenza della notizia di reato). Rispetto al quadro indiziario iniziale, che vedeva Margiotta indagato per associazione per delinquere (la Camera dei Deputati aveva respinto la richiesta di arresti domiciliari ed il Tribunale del riesame aveva annullato l’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip), risulta attenuata la posizione del deputato, al quale ora il pm non contesta più l’ipotesi associativa, ma solo una presunta corruzione. Margiotta – secondo l’accusa – avrebbe fatto valere il suo potere e la sua influenza di parlamentare e di leader del Partito democratico della Basilicata per favorire l’aggiudicazione degli appalti alla cordata capeggiata da Ferrara. In cambio avrebbe ricevuto da quest’ultimo, sempre secondo l’accusa, una promessa di 200 mila euro. Margiotta – che si autosospese dal Pd quando arrivò alla Camera la richiesta di esecuzione della misura cautelare – si è sempre detto estraneo a qualsiasi fatto illecito.

TOTALGATE OGGI. Il 4 maggio del 2011, al termine di un processo celebrato con il rito abbreviato, il gup Tiziana Petrocelli, aveva assolto con formula piena il parlamentare. La sentenza è stata appellata dal pm Salvatore Colella. La posizione del deputato viene stralciata dal fascicolo principale  dopo che il gup Larocca aveva espresso la propria incompatibilità. E’ prevista un’udienza il 25 ottobre 2012, nel corso della quale saranno ascoltate in aula le due intercettazioni sulle quali la procura aveva basato gran parte dell’impianto accusatorio nei confronti di Salvatore Margiotta. Si tratta di due telefonate risalenti al 16 ed al 21 dicembre del 2007, nelle quali gli interlocutori dell’imprenditore Francesco Rocco Ferrara avrebbero fatto riferimento al deputato lucano. Per quanto riguarda il filone principale, il processo partirà il 26 settembre prossimo. Chissà come andrà a finire.

DE MAGISTRIS E LA BASILICATA. Luigi de Magistris ha indagato sul caso denominato Toghe lucane. Secondo il giudice un “comitato d’affari” comprendente politici, magistrati, avvocati, imprenditori e funzionari avrebbe gestito grosse operazioni economiche in Basilicata. La guardia di Finanza ha perquisito nei primi mesi del 2007 le abitazioni e gli uffici del sottosegretario allo Sviluppo economico Filippo Bubbico (Ds), del procuratore generale di Potenza Vincenzo Tufano, dell’avvocato Giuseppe Labriola e della dirigente della squadra mobile di Potenza Luisa Fasano. Le ipotesi di reato addotte da De Magistris sono quelle di abuso d’ufficio per Tufano; corruzione in atti giudiziari e associazione per delinquere per Labriola; abuso d’ufficio per Fasano; abuso d’ufficio, associazione per delinquere e truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche per Bubbico che è stato presidente della Regione Basilicata. Nell’inchiesta vennero indagati uomini politici, amministratori, imprenditori, funzionari e magistrati in servizio in Basilicata (fra questi ultimi, uno ha lasciato la magistratura e altri sono già stati trasferiti in altre sedi dal Consiglio Superiore della Magistratura). Successivamente per quasi tutti i 30 indagati è stata richiesta l’archiviazione o l’assoluzione.

TOGHE LUCANE E IL CSM. L’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella chiese al Consiglio Superiore della Magistratura il trasferimento cautelare d’urgenza di De Magistris, per presunte irregolarità nella gestione del caso Toghe lucane. In aprile 2009, Il Gip di Salerno Maria Teresa Belmonte proscioglie Luigi de Magistris (ormai dimessosi da mesi) dall’accusa di rivelazione di segreti d’ufficio e abuso d’ufficio nell’ambito di questa inchiesta. Scelta che fa seguito alla decisione della Cassazione del 2 aprile di non spostare la sede del procedimento, dichiarando inammissibile il ricorso dell’ex coordinatrice della Dda di Potenza, Felicia Genovese, finita a sua volta nell’inchiesta “toghe lucane” ad opera dell’ex pm de Magistris. Nel marzo 2011 l’intera inchiesta viene  archiviata dal gup di Catanzaro Maria Rosaria di Girolamo, che ha definito l’impianto accusatorio «lacunoso» e tale da non presentare elementi «di per sé idonei» a esercitare l’azione penale. Tutti e trenta gli indagati sono così stati prosciolti. Nonostante le richieste dei mezzi d’informazione, de Magistris si è rifiutato di lasciare alcuna dichiarazione in merito.

IL TRASFERIMENTO. Il 21 settembre 2007 l’allora ministro della Giustizia Clemente Mastella chiede al CSM il trasferimento cautelare di de Magistris e del procuratore capo Mariano Lombardi. La richiesta venne proposta a seguito dell’istruttoria condotta dagli ispettori del ministero negli uffici giudiziari di Catanzaro e di Potenza: gli ispettori ritennero di aver rilevato “gravi anomalie” nella gestione del fascicolo “Toghe lucane”, contestando a de Magistris il suo rifiuto a riferire gli sviluppi dell’inchiesta al procuratore capo Lombardi.

PROCESSI SENZA SBOCCO. E’ comunque evidente che in Basilicata molte inchieste non hanno uno sbocco processuale. E quelle poche che finiscono in un processo spesso si concludono con un’assoluzione degli imputati. Questo non accade soltanto per le grandi inchieste sulle quali si accendono molti riflettori, ma accade spesso, se non sempre, anche per le inchieste che riguardano persone scompare o uccise. Archiviate o finite nel nulla. Suicidi e incidenti sospetti, uccisioni senza movente e senza colpevole, depistaggi e superficialità nelle indagini. Sono aspetti caratteristici della Basilicata “terra dei misteri”.

LE INCHIESTE MAI AVVIATE. Si verifica un altro strano fenomeno in Basilicata. Quello delle inchieste mai avviate. Soprattutto nel settore dell’ambiente. Dallo stoccaggio allo smaltimento dei rifiuti tossici o pericolosi, dalle discariche al trasporto di materiali “speciali”. Nonostante le continue denunce, anche circostanziate, degli ambientalisti e del nostro giornale, nulla si muove. Anzi le cose nel tempo sono peggiorate, ma l’aria che si respira lascia immaginare che ancora per molto tempo dominerà il silenzio.