Appalti e rifiuti tossici

23 luglio 2012 | 11:56
Share0
Appalti e rifiuti tossici

Continua l’inchiesta di Basilicata24 sulla questione rifiuti. Un ex imprenditore racconta: ecco come è iniziata la gestione dei rifiuti tossici negli anni Novanta in Basilicata

Questa storia parla d’un imprenditore per diverso tempo attivo in edilizia. Uno che con la crisi dei finanziamenti post-terremoto, avvenuta negli anni ’90, decide, come molte altre imprese lucane, di diversificare il suo business per ridare respiro alla propria azienda. Il nostro imprenditore, attivo nel materano e che resta anonimo, si butta nell’affare delle bonifiche ambientali e dello smaltimento di rifiuti speciali e tossico-nocivi. Con la nuova attività però, inizia pure un calvario, fatto di concorrenza sleale e logiche sulle gare d’appalto peggiori di quelle che aveva vissuto in edilizia, e che gli fanno scoprire un altro mondo, parallelo a quello dell’edilizia post terremoto e anni luce lontano dalla tutela dell’ambiente e della salute pubblica che quegli appalti avrebbero dovuto garantire a cittadini e territori. Un mondo dove i fanghi petroliferi diventano buoni per fare “caramelle” e la farina fossile trattata come “borotalco”.

DOVEVI ADEGUARTI AL SISTEMA. Il nostro testimone è uno che i giochi fatti sulle gare d’appalto li conosce bene. E’ stato incriminato per turbativa d’asta assieme ad altri imprenditori e racconta a Basilicata24 la rabbia per aver pagato un prezzo alto perché quello era il “sistema” e dovevi “adeguarti” per campare, mentre gli amministratori pubblici che avevano di fatto, afferma con rabbia, gestito prezzi, imposto ribassi alle imprese, e a discrezione propria, assegnato lavori come e a chi volevano (anche di discariche comunali, ndr), oggi, e meglio di prima, continuano a fare esattamente ciò vogliono.  

LO SMALTIMENTI ILLECITO? UN REQUISITO. “Per la dimensione delle mia impresa – comincia a raccontare tranquillo – potevamo fare piccole bonifiche o smontaggi di impianti (industriali, ndr), certo non rientravo tra quelle attività di smaltimento di grossi quantitativi di demolizione e conferimento in discarica. Questo perché quando si faceva la propria offerta si teneva conto del materiale che si doveva trattare”. Si parla di materiali speciali e tossico-nocivi che andavano trattati, come ricorda il nostro imprenditore, con dovute attenzioni tenendo conto dei costi per mettere in sicurezza i lavoratori, di quelli del trasporto e infine, ovviamente, di quelli per il conferimento in discariche appropriate a ricevere questa tipologia di materiali velenosi. “Io non riuscivo mai a capire – continua con un sorriso amaro – perché mai non prendevo lavori di questo tipo”. Gli domando se ciò può essere dovuto al fatto che le altre imprese concorrenti che partecipavano alle gare avevano strumentazioni più idonee e discariche capaci di prendere quei rifiuti che facevano sì da far vincere gli appalti perché ne abbattevano i costi di smaltimento. “In quegli anni – risponde –, siamo tra il ’94 e il ’95, nessuno dei miei concorrenti aveva discariche o requisiti particolari che le rendevano più idonee a fare offerte migliori di quelle che facevo con la mia azienda. Non riuscivo a prendere appalti perché i miei concorrenti quando si trattava di smaltire e conferire rifiuti in discarica erano sempre più competitivi. Ma questo l’ho capito solo dopo purtroppo, quando ho visto che i trasporti di questi materiali venivano effettuati nelle prossimità dell’industria da dove si estraevano (ci dice chiaramente di quale sito industriale si tratta, ndr), quindi il conferimento in discarica in realtà non c’era perché era fatto in zone libere prossime allo stabilimento, magari facendo un fosso e mettendo a dimora dove non si pagava niente. Quindi era tutto profitto, ma questo non so se era stato deciso da chi appaltava i lavori. All’epoca non c’era l’obbligo di conoscere la destinazione dei rifiuti e quindi l’impresa

QUEI CONTI NON TORNAVANO MAI NELLE GARE D’APPALTO. E’ drastico il nostro imprenditore quando afferma che in questa terra aver commesso reati di smaltimento illecito “è diventato un requisito” per accreditare le aziende verso  enti pubblici o altre imprese nelle gare d’appalto. Stesso discorso per chi smaltiva un altro rifiuto tossico come l’amianto in zone dove “non c’era nessuna protezione, nessun trattamento e poi gli è stata data l’autorizzazione a smaltire questo prodotto”. E ricorda che almeno due aziende avrebbero ottenuto autorizzazioni in questo modo per metter su discariche di categoria per tossici e nocivi. “Per quello che ne so – continua – nei siti dove hanno smaltito questi materiali non ci si può avvicinare a chilometri. E penso ci sia stata una protezione anche da parte di chi doveva vigilare e controllare, che avrà pure fatto la sua segnalazione ma visti i risultati in cui siamo arrivati oggi credo siano stati zittiti in qualche maniera”.

QUELLA FARINA FOSSILE “SCOMPARSA”. Ricorda come lui faceva lavori puliti facendo bene i conti su come smaltire regolarmente, e che la sua azienda andava bene per le piccole gare ma che “quando si trattava di tirar fuori materiale tossico e andarlo a depositare allora si cadeva nell’inghippo. I concorrenti evidentemente erano sleali perché andavano a conferire dove gli faceva più comodo, magari dove c’era una falda acquifera, o delle abitazioni”. Gli chiedo di farmi qualche esempio di appalto gestito con questa logica di concorrenza sleale e smaltimento illecito. Mi racconta la gara d’appalto dove lui fa una prova su farina fossile da inertizzare, un rifiuto tossico, chiuso in un contenitore di circa 1000 metri cubi. “All’epoca – racconta – ricordo che era ancora attivo uno stabilimento (ci fa il nome, ndr), che smaltiva i suoi rifiuti all’interno. Per questa farina fossile lì presente comunque, furono invitate diverse imprese. E anche la mia, per una prova di inertizzazione attraverso miscelazione di materiali. Nel caso specifico calce idrata, cemento e farina fossile, in modo da produrre cubi che sarebbero serviti poi non so a cosa. Era una prova per vedere i costi di smaltimento di questo prodotto nocivo. Prova che ovviamente mi fu pagata. Poi partecipai alla gara, e ricordo che presentai un preventivo con un costo alto. Bisognava utilizzare aspiratori per non spargere in giro quella roba (era materiale polverulento, ndr) e un abbigliamento di lavoro particolare se si volevano salvaguardare gli operai, visto che si trattava di materiale cancerogeno da maneggiare con estrema cura e non disperdere attorno. In ogni caso dopo la prova non sono stato più considerato perché evidentemente avevo presentato un’offerta probabilmente molto alta. Non so a oggi che fine abbia fatto quel materiale tossico, né chi l’abbia smaltito e dove, o con quali criteri. Successivamente sono arrivate imprese per demolire l’impianto. Ricordo che quella più grossa era di  La Spezia”.

“ROBA CHE METTONO PURE NELLE CARAMELLE”. Gli chiedo a questo punto se nelle varie gare d’appalto a cui ha partecipato ha avuto relazioni anche con imprese lucane. Me ne cita una prima, che lasciamo anonima. Racconta che con l’impresa in questione ha concorso in qualche gara per materiali provenienti da spurghi di impianti, tipo cvm, pvc. “Materiali tossici – afferma – che venivano insaccati e messi a dimora all’interno dello stabilimento”. L’impresa che cita “vinse l’appalto per prelevare il materiale insaccato precedentemente, vagliarlo e metterlo in distinti sacconi da conferire successivamente, secondo il tipo, in discariche differenziate adatte a riceverli. Non so – dice – la destinazione finale di tali materiali”. Continua citando un’altra impresa con cui ha avuto invece un’esperienza indiretta al di fuori delle gare d’appalto. Fa affermazioni forti. “Vicino tale azienda – dice – prima c’era una montagnetta dove venivano scaricati fanghi provenienti da Viggiano. Venivano poi impastati e nella successiva escavazione veniva preso il terreno mescolato con questo liquame e trasportato nelle vicinanze in altre proprietà. Molti proprietari erano ignari della sostanza scaricata sui terreni, qualcuno però, mi risulta sia stato anche pagato e abbia ringraziato. Di questo materiale che doveva essere conferito in una discarica a Pescara, l’impresa (che non citiamo ma di cui ci fa il nome, ndr) evitava il trasporto e il conferimento e scaricava dove gli veniva più comodo. In prossimità di questo suolo c’erano falde acquifere e abitazioni. Comunque nonostante io abbia preso contatti con l’imprenditore non c’è stata una spiegazione per cui aveva scaricato lì quel materiale. Ma immagino che sia tutto normale qui”. Chiedo se avesse fatto analizzare il prodotto sversato in questo modo e se ne parlò con l’imprenditore in questione. La risposta che ricevo è agghiacciante. “Sì – dice –, dopo aver avuto l’esito delle analisi fatte presso uno Studio (che cita, ndr), e che mi confermò come quei fanghi dovevano essere smaltiti in una discarica di categoria per tossico-nocivi andai dall’imprenditore di persona a dirglielo. Ricordo ancora bene oggi la risposta: “Ma vedi che quel prodotto è buono, lo mettono pure nelle caramelle”.

O’ SISTEMA: L’OMERTA’ CHE CONVIENE. Chiedo che idea si è fatto rispetto alla risposta datagli dall’imprenditore delle “caramelle” su come si è iniziato a fare impresa sui rifiuti. “Evidentemente – dice – se lo poteva permettere perché protetto da qualcuno, gente che lo tutelava, senz’altro peggiore di chi ti dice che un rifiuto tossico può diventare una caramella. Un circolo di gentaccia. Il sindaco e i carabinieri all’epoca dissero infatti che era una persona per bene”. Chiedo a questo punto se dunque mostrò gli esiti delle analisi ai carabinieri e all’amministrazione comunale. “Non io personalmente – risponde – ma una persona che era interessata in maniera diretta perché lì abitava. Non so. O non volevano leggere o non sapevano leggere i dati relativi alle analisi, fatto è che nessuno, né l’amministrazione, a cui questa persona fece presente l’inquinamento prodotto dall’imprenditore, né i carabinieri, né gli ambientalisti a cui io personalmente invece mi rivolsi, attenzionarono questi fatti”.
Lei – chiedo – contattò quindi in quegli anni anche un’organizzazione che s’occupava d’ambiente? Mi conferma di sì e afferma che questa persona dopo aver visionato le analisi gli disse che “l’indomani mattina avrebbero recintato immediatamente l’area”. Ma dopo che gli riferii il nome dell’impresa che aveva fatto quello smaltimento di rifiuti tossici non lo vidi più. “Anzi no – dice col volto contratto – l’ho rivisto viaggiare con una macchina che senz’altro non era alla sua portata all’epoca. Ricordo bene come solo 3 giorni prima viaggiava con una macchinuccia”. Poi chiude amaramente, ricordando le vessazioni subite sulla propria vita e sulla propria famiglia. “Purtroppo chi è solo non fa testo, non viene considerato, non conviene a nessuno sostenere una giusta causa. Quando qualcuno sa  qualcosa qui, è meglio che non dice niente. E’ meglio che dimentica”.

Estratto dell’inchiesta pubblicata sul numero 46 del settimanale Basilicata24 in edicola dal 21 luglio 2012