Amikò, l’artista che porta il mare tra le Dolomiti lucane

14 luglio 2012 | 15:52
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Amikò, l’artista che porta il mare tra le Dolomiti lucane

Racconta, con orgoglio, di essere nato sotto la cima più alta di Castelmezzano. Di amare talmente tanto il mare al punto di ‘inventarlo’ tra le Dolomiti con ‘pesci’ decisamente stravaganti: ispirazione per la sua prima esposizione, nell’ambito della collettiva “CaravanArt” ospitata nel 2011 proprio nel suo paese. Michele Amico, classe ‘63, è pavimentatore-piastrellista di professione. Mai avrebbe pensato di darsi all’arte, anche se con la materia ha sempre avuto a che fare. Solo 3 anni fa il suo amico artista Giuseppe Olita, in arte Oklit, regalandogli una tela e qualche pennello, lo ha incitato a mettersi alla prova artisticamente. A lui si deve anche la scelta di condividere la ‘k’ nella firma: diventando, così, Amikò.

Dal 23 giugno e “fino a quando non si scoccia” presenta la sua prima esposizione personale a Potenza, in viale del Basento: “Post Post Industriale. Il Blocco”: 44 pitture e 6 tra installazioni e sculture calate in un allestimento-cantieristico, su uno spazio di 350 mq dell’Opificio Pace Bio, concessogli in uso dall’amico imprenditore Paolo Pace. Opere di impatto, originalissime, socialmente impegnate quelle di un artista ‘giovane’ che dimostra di avere tanto da dire al suo pubblico. E di saperlo fare con convinzione e coraggio. Ne ha colto appieno lo ‘spirito’ il maestro Antonio Masini che di Michele Amico scrive nell’introduzione alla mostra: “gli artisti sono come i bambini. Un sasso, una lamiera contorta, un pezzo di macchina, un vetro colorato li fa inventare, creare, una realtà parallela a quella della vita, ma di gran lunga più bella perché riesce a captare le forme, i colori, le melodie del sogno”.

Amikò ‘scava’ a fuoco il polistirene: materiale prediletto che dipinge e completa incastonandogli all’interno ferri, viti, bulloni, plastiche, vetri e materiali raccattati nelle discariche dei capannoni industriali della Val Basento. Gioca con colori e materiali riciclati, ‘imprime’, ‘sovrappone’, ‘fissa’ materia e sostanza, lancia la sua provocatoria ‘labilArt’: in risposta a quanti obiettano una certa labilità ai materiali utilizzati. Attraverso i suoi occhi filtra la ‘dura’ realtà. Il lavorio delle sue mani è ‘puro istinto’ che trasforma e crea, interpretando il contingente periodo storico-sociale che definisce “Post Post Industriale” traendo spunto proprio dall’inarrestabile chiusura delle industrie, dai macchinari in disuso, fermi, abbandonati.

L’acciaio di lamiere di ‘taglienti tagliati’ non girano più: si tagliano reciprocamente nel vuoto del loro stesso immobilismo di sculture arrugginite. Bulloni, chiodi, candelette, lame, lucidi frammenti di vetro incastonati nella materia colorata, sfavillante di sfumature, ‘bloccano’ ingranaggi come il sistema politico frena aneliti e speranze. Anche il ‘mikado’, da paziente gioco giapponese di bastoncini movibili a turno, diventa impossibile. E’ il ‘male di vivere’ di macchie sulla tavola di legno; o la ‘macchia di peccato’ che ognuno porta dentro di sé. A tutto questo malessere si ribella ‘il pagliaccio’ che urla, con tanto di ‘denti’ e strizzando l’occhio a Munch: ma è solo il volto dell’artista stesso, incapace di esser preso sul serio, anche quando la sua denuncia si spinge fino a toccare temi ecologici di grande rilevanza. L’avvelenamento delle acque del Pertusillo con la morìa di ‘pesci agonizzanti’ (i suoi amati pesci); le attività di sfruttamento del petrolio con l’installazione dalla  scritta a caratteri cubitali ‘Total-mente fregati’; l’inarrestabile produzione di plastica non lascia speranza se dalla plastica non possono che germogliare ‘fiori del male’. Mentre di fronte alla troppo frequente incapacità umana lancia il disarmante invito a prendere tra le mani la ‘vecchia carriola’.

Esplode il violento ‘macello collettivo’; la ristrettezza dei tempi nel rubinetto di una ‘doccia’ deviata nella materia; la strapotenza delle donne nell’‘Amazzone’ mostruosa e agguerrita; sciami di ‘virus industriali’ uccidono nella chiusura stessa delle fabbriche. Strappa un sorriso l’antico messaggero degli dei: un ‘nuovo Ermes’ diventato tecnologico, parla inglese e irride la contemporanea sottomissione all’uso quotidiano della Pec, strumento di posta elettronica certificata delle Pubbliche Amministrazioni. C’è spazio per la leggerezza di blu scintillanti che imperversano in tecniche miste suggestive, di acquari luminosi; e anche per l’amore che evolve ad amore per la musica con un omaggio alla ‘IX di Beethoven’ e, dunque, all’arte più in generale: quella che anche Michele Amico ha avuto la fortuna di incrociare. Ed infine all’anelito verso ‘dio’ che appartiene anche alla coscienza di chi si professa ateo, pur inseguendo la rappresentazione dell’eterno mistero della Vita.