Val Basento, l’indagine dimenticata

28 giugno 2012 | 11:47
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Val Basento, l’indagine dimenticata
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Val Basento, l’indagine dimenticata
Val Basento, l’indagine dimenticata
Val Basento, l’indagine dimenticata
Val Basento, l’indagine dimenticata

Il sito denominato Val Basento è un capolavoro italico di industrializzazione senza sviluppo

Ingenti somme di denaro pubblico captato da società statali, Eni spa in primis, imprenditori del nord Italia e anglo americani. Al 23 giugno 2012 si contano 41 stabilimenti chiusi, centinaia gli operai e tecnici e dirigenti ingabbiati nell’assistenzialismo della cassa integrazione. L’avvenire è un buco nero in fondo al tram.

Da capolavoro industriale a mappa di degrado e rifiuti nocivi- Si osserva la mappa di capannoni abbandonati, opifici sventrati, vasche piene di liquidi indefinibili, casematte senza porte e finestre, scarti di materiale nocivo sparsi in ogni luogo, condutture e tubi in stato di rovina adagiati lungo i viali della Chimica. Senza fine il calvario dei tanti lavoratori sottoposti a visite mediche. Perché la radiografia alle mani? Alessandro Sciandivasci, perito chimico, capoturno reparto Cvm racconta: “Per controllare il livello della reazione del composto chimico,versavamo un po’ di prodotto nel palmo della mano. Lavoravamo così, animati da una buona dose di incoscienza, ma non sapevamo nulla di quel che poteva accadere. Nessuno ci aveva mai messo in guardia”. Michele Colaci, addetto dal ’65 all’80 alla sicurezza, ricorda che “Qualche tempo fa tutti noi dell’ex Liquichimica siamo stati visitati e sottoposti a esami dal prof. Foa dell’Università di Milano. Mi ricordo che su 110 di noi furono riscontrati problemi ma di quell’indagine non si è saputo più niente”. Più in là si intravede il Centro intermodale, costato 7 milioni di euro, un binario ferroviario utilizzato dalla Mythen srl che produce biodiesel, fosfato monopotassico, glicerina pura. Segue appezzamento di terra vittima del degrado fisico, l’entrata principale sbarrata. Non distante scorre placido il fiume Basento travolto dalle piogge e dalla mancata sistemazione idraulica.

Chimica e miliardi- La “ Manifattura Ceramica Pozzi” apre la fabbrica di Macchia Ferrandina nel 1961. Grande 500 mila metri quadri, 40 miliardi di lire l’investimento. Entra in produzione nel 1965. Seicento e sessanta le unità lavorative, gli impianti costruiti in aree dove si manipola acitilene, cloruro di vinile, metanolo, polimeri-vinilici e cloruro pvc, clorosoda, acido cloridrico. Si erige una centrale elettrica di 50.000 Kw. Dopo tre anni l’azienda cambia nome e diventa “Pozzi spa Ferrandina”. Nel corso del 1973 è rilevata dalla Liquichimica Ferrandina spa. Il 30 maggio 1978 avviene la ristrutturazione tecnologica che incrementa del 30% la capacità produttiva. Passano 365 giorni e inizia il tracollo della Liquichimica spa in capo al Gruppo Ursini. Motivo? Operazioni finanziarie strane (epoca di politica industriale dominata dalla razza padrona capeggiata da Cefis, Rovelli e Ursini, dediti con il via libera del ceto politico al saccheggio delle risorse e società dello Stato) e discutibili scelte d’intrapresa. Raffaele Ursini avendo debiti per 800 miliardi, i dipendenti lucani senza stipendio da più mesi, precipita nell’abisso del fallimento. Pertanto la Liquichimica di Ferrandina e Tito, provincia di Potenza, chiude.

Grazie alla Legge Prodi, anno 1980, l’Eni acquisisce l’ex Liquichimica. La struttura della Val Basento prende il nome “Chimica Ferrandina spa”, proprietà di Enichem spa. La multinazionale statale svolge interventi che portano a ridimensionare la produzione. Di qui la catena di prepensionamenti, cassa integrazione, declino irreversibile del “sogno della chimica lucana” ideato nel 1959 da Enrico Mattei, presidente Agip-Eni in cambio di troppi miliardi di metri cubi di gas emunto, si vocifera, “senza controllo”, dal sottosuolo di Basilicata.

Mattei dichiarò:”Il gas metano rinvenuto in Lucania è un’occasione fondamentale che determinerà il futuro del Sud. La grande disponibilità di fonti energetiche a basso costo creerà industrie e migliori condizioni di vita in queste zone d’Italia”.

L’inchiesta dimenticata- A fine anno 2000 il comandante della Compagnia dei Carabinieri di Matera, capitano Cosimo Delli Santi, tenuto conto della relazione della Commissione regionale d’inchiesta sulla Val Basento e di notizie apparse sul quotidiano nazionale “Libero” svolge una sommaria informativa. La Procura della Repubblica di Matera apre l’indagine dando mandato ai Carabinieri. Quest’ultimi nel giro di 15 mesi concludono l’inchiesta, affiancati dal prof. Salvatore Casillo, docente di Economia industriale Università di Salerno, in qualità di consulente.

Procedimento giudiziario con al centro i finanziamenti statali: 538 miliardi di lire per la rinascita industriale della Val Basento. Di cui si è persa traccia. Restano domande senza risposta: ci sono stati, o ci sono, indagati, richiesta di rinvio a giudizio o archiviazione, trasmissione degli atti alla Corte dei Conti?

Aspettando una dichiarazione, comunicato qualsiasi dei rappresentanti delle varie Istituzioni preposte e organi inquirenti, forse è utile riferire accadimenti che rientrano nei molti anfratti della finanza italiana e estera, e tra le singolari compravendite registrate nei pressi del comparto industriale, 900 ettari, che si snoda da Salandra a Pisticci .

I cepisti Enichem- Episodio di pubblico interesse è quello della valutazione attribuita ai cespiti (fabbricati, terreni, armamentario che si trovavano e sono tutt’oggi in stato di decozione all’interno degli agglomerati produttivi di Macchia Ferrandina e Pisticci Scalo) di proprietà dell’Enichem Fibre e Enichem Anic, in seguito transitati nei libri contabili di Syndial spa società posseduta dal gruppo Eni, ceduti al Consorzio sviluppo industriale di Matera e provincia. Giudizio formulato da American Appraisal Italia srl e accettato dal Collegio dei periti nominato dal Consorzio industriale materano per verificarne la congruità. “In pratica-si legge in un foglio che si è potuto consultare-una valutazione di cespiti costruita sulla scorta di criteri più idonei a commisurare il valore di un immobile ubicato in un fondo agricolo che di strutture deputate alla produzione industriale, dal momento che è stato attribuito ai cespiti un valore basato sul costo di costruzione a nuovo meno deprezzamento fisico maturato ed evidenziato dalla condizione degli esiti stimati. Dimenticando i periti che i beni, terreni e fabbricati e impianti e mobili e arredi, andavano valutati in una situazione di mercato nella quale il tipo di attività produttiva subiva trasformazioni e ristrutturazioni profonde che implicavano una massiccia valorizzazione del capitale fisso”.

A proposito della stima dei cespiti Enichem, oscilla da 176 a 90 miliardi di lire, interviene Antonio Da Empoli, capo Dipartimento Presidenza Consiglio dei Ministri. In una lettera inviata a Regione Basilicata, Eni spa, Consorzio industriale di Matera il dr. Da Empoli richiama osservazioni, già formulate a suo tempo, in merito “… all’incompletezza delle informazioni su alcune caratteristiche intrinseche dei cespiti periziati, la metodologia adottata, i parametri utilizzati per rimonetizzare i cespiti, e quindi l’impossibilità per l’Amministrazione dello Stato di fornire il visto di controllo”. Inoltre, sottolinea Da Empoli, la abnorme quotazione data alla centrale termoelettrica (la definisce “obsoleta, inutilizzabile e priva di qualsiasi valore di mercato”) si presenta “effettivamente con criteri inaccettabili”.

Dopo la lettera di Da Empoli chi ha controbattuto i rilievi così pesanti fatti da un Capo di dipartimento dello Stato? Nessuno. Tra le altre cose tra i componenti del Collegio dei periti non figura né un economista né un esperto di tecnica industriale.

Un bastimento d’azioni- Qui si racconta in breve una vicenda significativa inerente soldi pubblici e Enichem holding. Riscontrata non lontano da Ferrandina, sepolta nei meandri dell’oblìo lucano. Dubbi e interrogativi si evincono intorno al travaso di azioni finanziarie con protagonisti Eni spa e compagini societarie, aventi sede a Pisticci Scalo. C’è stato il passaggio di azioni tra Enichem Fibre di Palermo, capitale sociale 240 miliardi di lire, e Snia Bdp Milano, capitale sociale 575 miliardi. Tramite atto siglato innanzi un notaio di Milano le due società convengono: Enichem Fibre, a mezzo del suo rappresentante Lorenzo Riva, vende a Snia Bpd per cui accetta il suo procuratore, ing.Ottaviano Autelli, un numero di 200 mila azioni della Comav spa insediata a Pisticci: da nominali di 1000 lire ciascuna rappresentate dal certificato n.30 al prezzo complessivo di 200 milioni.

In precedenza tra Enichem Synthesis di Palermo, capitale sociale 80 miliardi, Enichem spa di Milano, capitale sociale 600 miliardi, e la società Fapack spa, capitale sociale 10 miliari e 600 milioni, ubicata in quel di Pisticci, si effettua una vendita di azioni con caratteristiche siffatte: Enichem Synthesis e Enichem spa vendono a Fapack spa 500 mila azioni della società Prodeco di Milano da nominali di mille lire ciascuna e precisamente: per Enichem Synthesis 497 mila azioni al prezzo di 7 miliardi e 545 milioni, per Enichem spa 2.100 azioni al prezzo di 4 milioni e 720 mila. Successivamente si registra la compravendita di quote tra Enichem Fibre di Palermo e la Comav di Pisticci Scalo. Vale a dire: Enichem Fibre vende a Comav la quota dell’intero capitale al prezzo totale di 30 miliardi. Inoltre, tra Enichem Fibre e Comav si conviene,davanti il notaio milanese, un’altra operazione. Ecco: Enichem Fibre spa vende a Comav 10 milioni e 850 mila azioni di Fapack spa al prezzo di 21 miliardi.

Insomma una girandola, compravendite, scambi di quote di società tra società del medesimo Gruppo Eni. Fra l’altro dentro un paio di fogli che è stato possibile visionare si legge: “… da Enichem Fibre di Palermo a Fapack di Pisticci si realizza una cessione di n° 7.200.000 azioni da nominali di lire mille ciascuna della Enichem Europe spa con sede in Pisticci alla via Pomarico, al prezzo di lire 7.170.000.000 in contanti”. Però, sette miliardi e più in contanti. Chi ha vigilato su tale vorticoso flusso di moneta pubblica? Per quale strategia o scelta imprenditoriale si eseguono manovre finanziarie più o meno intricate? Quante valigie o borse o moto Ape sono stati utilizzati per il trasporto di sette miliardi e 170 milioni cash?

La relazione mai elaborata- La crisi tecnologica e finanziaria che sconvolge il settore mondiale della chimica mette in ginocchio le fabbriche allocate in Val Basento. Realizzate da società in possesso di minimo capitale, sede legale in Paesi oltre l’Italia, percettori di moneta pubblica a fondo perduto: Enichem, Fapack, Dow Chemical, Ergom, IRS, Nylstar, Caffaro, Enifibre,Tucam, Italcompositi, Safiplast, Snia, Calbas, Materit, Snam,eccetera. Bisogna intervenire. Ministro dell’Industria, Gruppo Eni e Regione Basilicata sottoscrivono l’accordo di programma per la reindustrializzazione della Val Basento. Dotazione iniziale 538 miliardi di lire. Montagna di denaro speso come? Non si sa. Perchè? Semplice: non esiste la relazione finale, dovuta per Legge, sul finanziamento sborsato dallo Stato. Infatti il Comitato di coordinamento dell’accordo di programma non ha elaborato e consegnato a chi di dovere il rendiconto definitivo. Chi lo dice? L’ing. Sergio Biagioni, presidente del Comitato di coordinamento. Egli su sollecitazione del presidente della Commissione regionale d’inchiesta sulla Val Basento, Pietro Simonetti, dopo aver chiesto giorni di tempo per effettuare ricerche nel suo archivio personale (personale? Ma non sono incarti dello Stato?) risponde così:” Un documento con la finalità di relazione conclusiva non è mai stato elaborato dal comitato”.

Qui e là sono stati rinvenuti frammenti di protocolli, tabelle, cifre da cui emerge: “Il dato indiscutibile del mancato rispetto dell’accordo da parte di Eni spa di ben 1500 posti di lavoro su un impegno di 2900, con evoluzione in senso peggiorativo della situazione occupazionale in Val Basento”. Tutto il resto è nebbia burocratica, disguidi e manchevolezze ministeriali, laute consulenze, inadempienze di enti statali e Regione Basilicata più quanti dovevano e devono controllare l’utilizzo del fiume di poste monetarie per “l’intervento straordinario di sviluppo in Val Basento, Sud Italia”.

Emolumenti che al 99% sono stati intercettati da imprenditori, società finanziarie, affaristi nazionali e esteri. Vedi i casi Pnt Pirelli, Europe Embleme, Carbon Valley, Industria Resine Speciali, Cemater, Materit, Consorzio La Felandina.

Estratto dell’inchiesta a cura di Nino Sangerardi pubblicata sul numero 42 del settimanale Basilicata24 in edicola da sabato 23 giugno 2012