Quanto vale la vita di un malato di cancro?

25 giugno 2012 | 10:22
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Quanto vale la vita di un malato di cancro?

La visita d’urgenza negata e le indagini archiviate. Il fratello si chiede se fu fatto il possibile per salvare Giuseppe

Quanto vale la vita d’un malato di cancro? E’ questa la terribile domanda che si pone Pietro Mondì. Il 49enne medico psichiatra di origini siciliane, ma che vive a Policoro, ci racconta la storia di suo fratello Giuseppe, brillante avvocato penalista, morto nell’aprile 2011 a 53 anni. Oggi suo fratello Pietro chiede di sapere se fu fatto tutto il possibile per salvaguardare la vita di suo fratello. Senza giri di parole, se fu fatto il possibile per ritardarne la morte. Lo chiede alla Giustizia.

I fatti- Giuseppe Antonio Mondì muore a 53 anni all’ospedale di Policoro. Gli era stato diagnosticato un carcinoma e, in seguito, metastasi polmonari. Circoscrivere l’iter sanitario di una persona malata di cancro è cosa dolorosa per chi ne ha condiviso le sofferenze. Ma nonostante tutto per Pietro Mondì, diventa essenziale ricostruire ogni frammento della vicenda finita poi in un fascicolo d’indagine per presunte omissioni.

Il 6 aprile 2011, il medico di famiglia di Mondì, Giuseppe Valicenti, fa richiesta d’una visita pneumologica urgente per il suo assistito, il quale, tra le altre cose, è un malato in assistenza domiciliare integrata (Adi). La richeista del dotto Valicenti non viene presa in cosiderazione, nonostante il carattere d’urgenza, “Mio fratello stesso- ci racconta Pietro- non ricevendo risposta dall’Adi, prega il dottor Biagio Carlucci, primario di Pneumologia all’ospedale di Policoro, di effettuargli una visita intra moenia. Ma né l’Adi, né Carlucci, si adoperano in tal senso. Intanto le condizioni di Mondì peggiorano. Uno specialista oncologo, consultato dopo il diniego dello pneumologo dell’Asl, consiglia di praticare la emo gas analisi: l’Asl di Matera invia un assistente sanitario per eseguire l’esame, che andava effettuato con stretta periodicità per monitorare la presenza nel sangue di anidride carbonica e la sua quantità, al fine di intervenire eventualmente per ridurne la concentrazione, pericolosa per la vita. Il servizio viene subito interrotto. Poi ripreso e poi di nuovo interrotto. E intanto le condizioni di Mondì diventano sempre più critiche.

Nella notte tra il 22 e il 23 aprile del 2011 il quadro clinico di Mondì si complica. La vita del 53enne avvocato penalista si spegne nel Pronto Soccorso di Policoro dove si reca accompagnato dal fratello Pietro. Il 5 maggio 2011 il dottor Pietro Mondì presenta un esposto presso la Tenenza della Guardia di Finanza di Policoro nel quale evidenzia “una serie di circostanze relative ai trattamenti sanitari cui (non) è stato sottoposto il fratello”. Il sospetto, suffragato dal susseguirsi di una serie di fatti, è che non sia stato fatto il possibile per salvaguardare la vita di Giuseppe. Suo fratello Pietro crede ci sia, quello che in gergo giuridico si chiama nesso di causalità, tra le omissioni da lui stesso denunciate nell’assistenza sanitaria al fratello e la morte dello stesso. Crede che tutto quanto non è stato fatto abbia potuto anticipare la morte del fratello. Alla luce di queste considerazioni lo psichiatra siciliano presenta un esposto in cui evidenzia i dubbi circa l’adeguatezza degli interventi, la loro tempestività, l’omissione di trattamenti necessari o il loro ritardo. “

“Assistenza colpevolmente insufficiente”- La denuncia presentata dal dottor Mondì- ci racconta l’avvocato Carmelo Malara, legale di Mondì- e la ricostruzione del contesto di riferimento, ci consegnano uno spaccato di quella che può considerarsi, senza tema di smentita, un’assistenza colpevolmente insufficiente nei riguardi del paziente oncologico in trattamento”.

Si legge nella memoria consegnata dall’avvocato Malara agli inquirenti che si sono occupati del caso: Ferma la ricostruzione operata in denuncia, va certamente accertato il ruolo che nella vicenda hanno svolto i responsabili giuridici della filiera sanitaria istituzionale che avrebbe dovuto garantire l’intervento: sicuramente occorre approfondire l’input investigativo offerto nei riguardi del dott. Annese, Dirigente Sanitario del P.O. di Policoro, come pure meritano adeguata analisi il comportamento tenuto dal dott. Carlucci e la legittimità del suo diniego di intervento, siccome chiaramente emergenti dalla denuncia orale sporta da Giuseppe Mondì in data 11 aprile 2011 e verbalizzata, presso il suo domicilio, da Ufficiali dei N.A.S. del Comando Carabinieri per la Tutela della Salute del Comando Carabinieri di Potenza.L’interrogativo circa l’adeguatezza delle cure prestate appare in una dimensione ancor più inquietante laddove ci si accosti alle vicende successive a questa prima fase, ossia alla richiesta di esecuzione di emo gas analisi, consigliata dallo specialista Oncologo che era stato consultato dopo l’omesso intervento dello Pneumologo: l’Asl di Matera inviò un assistente sanitario per eseguire l’esame, che andava effettuato con stretta periodicità per monitorare la presenza nel sangue di anidride carbonica e la sua quantità, al fine di intervenire eventualmente per ridurne la concentrazione, pericolosa per la vita, ma il servizio venne subito interrotto”.

Il caso viene archiviato – Il 24 dicembre 2011 il sostituto procuratore, presso la Procura della Repubblica del Tribunale di Matera, Alessandra Susca, ha richiesto al gip, l’archiviazione del procedimento in oggetto. Il 12 giugno 2012 il gip presso il tribunale di Matera, accogliendo l’opposizione alla richiesta di archiviazione, presentata dal pm, ha tenuto Udienza Camerale, riservandosi di decidere, secondo prassi. Ma i dubbi, in chi ha denunciato presunte omissioni, rimangono. Il fratello dell’avvocato morto nel 2011 non pare voglia fermarsi dinanzi ad un’archiviazione. E così presenta un esposto al Consiglio superiore della Magistratura e al Ministro per la Giustizia.

“Mi voglio far passare per uno dalla querela facile”- Nell’esposto al Csm Pietro Mondì espone una serie dettagliata di circostanze se non strane quanto meno curiose. Prima fra tutte il fatto che nel fascicolo di indagine del pm sia presente una nota del Comando Carabinieri Nas di Potenza su una circostanza non afferente ai fatti oggetto di indagine. “Per la precisione-ci racconta il medico siciliano- viene riportata una denuncia che avevo fatto un anno prima della morte di mio fratello, ovvero il 29 giugno 2010, nei confronti del pronto soccorso di Policoro e che mi vedeva parte lesa. Insomma la sensazione-aggiunge Mondì- è che vogliano farmi passare per uno dalla querela facile e quindi che si voglia tentare di delegittimarmi”.

“Perchè la Procura non ha nominato dei consulenti”? Pietro Mondì, nell’esposto presentato al Csm e al Ministero, non si esime però dal fare alcune considerazioni sull’operato di chi ha o avrebbe dovuto indagare. Pone, nel documento, una serie di interrogativi. Perchè mai non sia stato ascoltato dal magistrato inquirente pu avendone fatto richiesta, perché mai non sia stata presa in considerazione la richiesta fatta dal suo legale, avvocato Malara, al pm, sull’opportunità di nominare un consulente tecnico trattandosi di fatti inerenti problematiche sanitarie e quindi specificatamente tecnici. Il pm, lo ricordiamo, a conclusione delle indagini preliminari, esclude elementi dolosi o colposi, a carico dei medici che assistevano l’avvocato penalista deceduto nel 2011. Ed ancora Pietro Mondì chiede al Csm come mai se pur riportato nel fascicolo d’indagine la richiesta da parte del medico di famiglia, Giuseppe Valicenti di una visita pneumologuca urgente per un malato in Assitenza domiciliare integrata (ADI), non abbia verificato come avvenga l’assitenza di un malato da parte dell’Adi. “A fronte della richiesta del Medico di Base, peraltro urgente, lo Specialista Pneumologo, avrebbe dovuto recarsi al domicilio del paziente”. Lo scrive chiaramente il dottor Mondì nell’esposto chiedendo implicitamente conto del fatto che nessun medico pneumologo si recò a far vista al fratello. Nemmeno quando questi- chiese di poter effettuare una visita intra moenia, dunque a pagamento, presso il suo domicilio.

“Il malato non è solo un numero e un letto” –Pietro Mondì è disposto ad andare fino in fondo per far luce su eventuali omissioni che abbiano potuto accelerare la morte di suo fratello. Per onorarne sì la memoria, ma soprattutto perché il malato smetta di essere l’anello più debole di quella catena chiamata sanità. Lo dice da medico, prima ancora che da fratello di una persona che ha assaggiato sulla sua pelle cosa vuol dire “essere considerati solo un numero e un letto in ospedali che non sono fatti a misura di malato”

E, come riporta nell’esposto presentato da ultimo al Csm, ricorda di un pronunciamento della Corte di Cassazione, che statuisce, che la condizione di malato terminale, non costituisce elemento, per sollevare il medico dall’assistere il malato, ancor quando questi risulti destinato all’exitus, né, di privarlo di tutta quanta l’assistenza, che la scienza Medica gli pone a disposizione. “Non appare,- aggiunge Mondì- dalla lettura del fascicolo del pm, che le indagini siano state indirizzate a stabilire con assoluta certezza,l’esclusione di comportamenti omissivi o di “malpractice”, da parte di chi assisteva mio fratello. Invece- conclude- appare fin troppo chiaro che si sia esclusa ogni responsabilità, attraverso l’audizione di coloro che assistendo mio fratello Giuseppe, avrebbero avuto ogni interesse ad allontanare da sé ogni elemento, seppur minimo, di responsabilità, nella presa in cura del malato”.

Interrogativi legittimi che auspichiamo non restino inascoltati. Affinché non rimanga senza risposta la domanda che si poneva il fratello dell’avvocato deceduto nelle battute iniziali di questo articolo. “Quanto vale la vita d’un malato di cancro”.