Chiusura della Facoltà di Geologia

14 giugno 2012 | 17:35
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Chiusura della Facoltà di Geologia

La chiusura del biennio di geologia presso l’Università degli studi di Basilicata ci consegna la fotografia di un paese in cui il dissesto idrogeologico è figlio del dissesto ideologico. La verità è che da troppo tempo – verrebbe da dire da sempre – anziché prevenire operiamo per assecondare e amplificare i disastri. Ripercorrendo gli ultimi sessant’anni di storia patria attraverso la cronaca di esondazioni, frane, crolli, lutti e tragedie annunciate, troviamo le tracce di un costante divorzio tra scienza e politica, tra coscienza e politica. Nella pagine di cronaca emergono le tracce di una dilagante illegalità, che – per dirla con le parole di Barbara Spinelli – sta uccidendo l’Italia politica e anche quella fisica. In questi sessant’anni di storia repubblicana non solo non ci siamo presi cura di un territorio delicatissimo dal punto di vista idrogeologico, ma abbiamo continuato a costruire nelle fasce di pertinenza fluviale di fiumi e torrenti, a cementificare le coste e a provocare frane. I morti di Soverato, di Giampileri, di Longarone e di Senise, il fango del fiume Sarno continuano a parlarci, ma preferiamo non ascoltare, preferiamo affrontare “emergenze” e tapparci le orecchie quando qualche “Cassandra” ci ricorda che i tempi di ritorno sono una grandezza statistica. In Italia il 48% del territorio è a rischio frana; in Italia si verifica uno smottamento ogni 45 minuti; in Italia, dal 1918 al 2009 ci sono state 15000 frane gravi e oltre 5000 alluvioni. In Europa il 38% delle vittime di alluvioni sono italiane. Il rettore di Unibas ha detto che la facoltà di geologia “non è attrattiva”; verrebbe da chiedersi perché dovrebbe esserlo, vista la considerazione che manifestiamo nei confronti delle scienze della terra. Marco Pannella ha più volte ripetuto che nel paese in cui si è consentito di cementificare le pendici di un vulcano attivo, occorrerebbe “il geologo di quartiere”. E Dio solo sa quanto servirebbe il geologo di quartiere o di vallata in una terra come la Basilicata, che vanta 56 comuni a rischio frana, 2 comuni a rischio alluvione e 65 comuni a rischio frana e alluvione, per un totale di 123 comuni a rischio. Ma un geologo potrebbe avere l’ardire di ricordare a chi vorrebbe la definitiva petrolizzazione della Lucania fenix che “la Val d’Agri è una delle aree italiane a maggiore potenziale sismogenetico” e che “la presenza di infrastrutture legate all’attività di estrazione e raffinazione di idrocarburi contribuisce ad accrescere il rischio sismico” di un’area che è già stata colpita da un terremoto distruttivo nel 1857. Un geologo potrebbe dire no ad un pozzo di reiniezione ubicato a pochi metri da un importante invaso e in zona sismica. Un geologo potrebbe avere la pessima idea di ricordare a chi governa, o forse è governato da interessi che non coincidono con la tutela della salute e del territorio, che l’attività estrattiva di idrocarburi è ben conosciuta come un agente in grado di “alterare lo stato meccanico crostale in maniera sufficiente da triggerare terremoti”. La saggezza popolare avrebbe potuto suggerire un minimo di prudenza nella vicenda del Vajont; per i friulani, infatti, Toc sta a ad indicare qualcosa di guasto, avariato, sfatto. Il 9 ottobre del 1963, alle ore 22.39, come riportato dalle cronache dell’epoca, una parte consistente del Monte Toc, del monte “sfatto”, finì nella diga del Vajont. Tragedia o omicidio colposo? Ma la saggezza popolare, l’epidemiologia popolare potrebbero raccontarci molto anche sulla diga del Pertusillo e su coloro che si ammalano vivendo a ridosso del Centro oli di Viggiano. Ma chi ascolta, chi è disposto ad ascoltare? E’ davvero incredibile che nella terra di frane e terremoti chiuda una facoltà istituita con la legge 219/81, che aveva per oggetto “ulteriori interventi  in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici”. Chiude la facoltà di geologia in un’università che avrebbe dovuto e potuto essere un centro d’eccellenza nello studio delle scienze della terra. Poco attrattiva? E certo, in questo paese preferiamo gestire “emergenze” e piangere lacrime di coccodrillo. Intanto, i morti di Senise e Longarone, di Giampileri e Soverato continuano a parlarci, ma noi continuiamo a non ascoltare.

Maurizio Bolognetti, Radicali italiani