Ndunetta non deve morire

29 maggio 2012 | 19:56
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Ndunetta non deve morire

Potenza centro, mattinata del 29 maggio. Gente nuova in città, vociare, mercanti, colori, addobbi, mercanzie etniche, lingue straniere e, di conseguenza, strane. Credevo di essere a Marsiglia. O forse a Valencia, Palermo. Insomma una città portuale. Ma del sud.

Gente di ogni etnìa, razza, colore, estrazione sociale, affolla le strade. Non solo cambiano i colori, ma aumenta sia la  movimentazione di persone che traffico cittadino, ma anche i suoni colpiscono l’attenzione degli indigeni (cioè noi). Lingue lontane, parole incomprensibili, pronunciate di solito a velocità diverse dalle nostre, diventano immateriali fili di comunicazione tra le persone, i cui significati, però, a noi sfuggono.  Ma ci incuriosiscono.

Come cax fanno a capirsi, parlando così velocemente? La città, che nei giorni normali è lenta, poco trafficata, poco vissuta, o vissuta lentamente, in questi giorni si velocizza.

Non sono solo i colori che sono diversi, e nemmeno soltanto i suoni. Cambia in questi giorni di festa la modalità di utilizzo della città. Tutto sembra muoversi più rapidamente, e in questo vortice anche gli indigeni (cioè noi) siamo presi dal movimento di massa accelerato e camminiamo più spediti, parliamo più svelti, siamo più frenetici. Come se fossimo in una città col porto.

Secondo me chi vive in una città di mare va più veloce. Forse perché mancano le salite, è tutta pianura, o forse perché devi muoverti, o risarà un marocchino, un francese o un senegalese che arriva prima di te. Poi ci sono gli animatori urbani. Che a Potenza prendono il nome di Portatori. Ma non portano solo il Santo, portano a loro volta anche allegria, musica, canzoni popolari cantate in coro, battiti di mani sincronizzati, vino (in quantità) e morra.

“Tutta quantaaaaaaaaaaaaaa”, gridano a squarciagola, come se urlare più forte portasse dei vantaggi nel fare il punto. E in un certo senso è così.

“Unoperunooooooooooooo”! Un’organizzazione che in questi quindici anni è diventata una macchina da guerra.

Snobbati dall’elite pseudo-culturale locale come “evento ludico collaterale”, si attivano per la festa, organizzano eventi di strada, si occupano perfino del catering per un migliaio di persone (con fiumi di vino usati in ogni modo, anche extra alimentare), insomma sono il nuovo soggetto che non ti aspetti, si inseriscono in quella terra-di-nessuno pericolosa e critica che si trova a metà strada tra cittadini e politica e assorbono con nonchalance in egual misura  apprezzamenti e critiche. Eppure solo pochi anni fa, il primo cittadino ebbe a dire che la festività non si sarebbe potuta celebrare per mancanza di fondi.

Ci fu una specie di insurrezione popolare. Ai cittadini puoi togliere tutto, ma Rusina e Ndunetta non devono morire.

La festa del Santo patrono a Potenza non si tocca. Ci sono stati anche stavolta i soliti problemi di localizzazione degli immigrati, provocando non poche proteste da parte dei residenti e dei commercianti, ma piano piano tutto si risolve. Come se ci fosse il tempo di intervenire con calma, come se la festa durasse settimane, non solo 3 o 4 giorni.

Qui da noi le lancette del tempo sembrano scorrere più lentamente che altrove. Le cose da noi si fanno, ma con calma.  Perché affrettarsi, in fondo? Il mondo esterno penetra il tessuto urbano solo una volta all’anno, e in quel caso gli indigeni (cioè noi) sembrano improvvisamente capire che ci sono altri modi di vestirsi, di parlare, di muoversi. Una città di montagna in questi tre giorni diventa una città di mare, anche se non ha il porto. Poi i suoni della tradizione  prendono il sopravvento sui colori nuovi e sulla velocità degli alieni, e di nuovo ti senti a casa.

“Fosse mort’ tata e no lu ciucc’”

E ti trovi nuovamente a riconoscere la città di sempre, e la festa diventa il collante per far dimenticare i tanti problemi, il cemento, la ZTL, i nodi complessi e quelli complicati, i parcheggi che mancano sempre, i parchi fatti e quelli che restano un sogno, e poco male se non c’è né il mare nè il porto: per oggi l’acqua si trasforma in vino e, almeno per questa giornata, tutti vissero felici, contenti e ubriachi.

Il 29 maggio tutto questo è ammesso fino alla serata, quando sfilerà per le strade della città la parata popolare, ma domani la festa si fa più seria e austera: c’è la processione religiosa.

Dino De Angelis Comitato Più Potenza