I mille popoli che la luna racchiude

7 marzo 2012 | 17:19
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I mille popoli che la luna racchiude
I mille popoli che la luna racchiude
I mille popoli che la luna racchiude
I mille popoli che la luna racchiude
I mille popoli che la luna racchiude
I mille popoli che la luna racchiude

Una trentina i dipinti che compongono l’esposizione intitolata “I mille volti della luna”: la personale dell’artista potentina Elvira Salbitani accolta nella Biblioteca Nazionale di Potenza prorogata fino al prossimo 30 marzo

Le lunghe ore di lettura o di studio, per molti giovani universitari e non solo, possono scivolare più distese e piacevoli se una pausa caffè può cedere il passo ad una mostra: e, ancor di più, se si tratta di una mostra che invita a rivolgere lo sguardo verso l’alto, facendosi portatrice di un anelito universale. Perché, in fondo, chi non ha mai desiderato andarci, sulla Luna? Chi non l’ha mai osservata da dietro i vetri di una finestra, tra fascino e mistero?

Quasi come guidata da una forza incontrollabile o incontenibile la mano di Elvira Salbitani dipinge spicchi di luna puntualmente sullo sfondo di tutte le sue tele. La Luna è presenza costante nella mente, come nella produzione artistica più recente di Salbitani. ‘Occhio’ discreto, silenzioso, inevitabile: la Luna non può fare a meno di osservare quanto accade qui giù, non può non essere presente, vicina, testimone oculare della vita che si consuma ogni giorno, tra gioie e dolori. C’è uno spicchio di luna che osserva una donna, un gruppo di amiche, una madre, un treno che corre (o vorrebbe correre) via lontano. Spunta alle spalle di un cavallo bianco, tra la natura rigogliosa e amica di un bosco, tra le fabbriche (ben poco amiche) di una città, tra un’esplosione atomica in un mix di dolore e surreale ilarità.

Tele vivaci, calate in vortici di colori e forme surreali alla Mirò, ma anche in sfondi dai toni più sobri nei toni del blu per notti luminosissime. E’ proprio qui, dove la scena è sgombra da ulteriori contenuti figurativi, che l’omaggio di Salbitani alla Luna raggiunge il suo apice: la Luna grande, rotonda e vicina è la protagonista assoluta di tre tele, uguali nelle dimensioni e accostate l’una all’altra. Sullo sfondo di un cielo d’argento e sospeso al di sopra di un paesaggio dolcemente collinare, il volto ‘pieno’ della Luna è contemplato dall’artista in tutta la sua potente magia.

Tre istantanee di una contemplazione lunare di richiamo universale a cui partecipano uno struggente albero dalla chioma fluente (simbolo dell’intera Natura e Umanità, insieme), nella prima tela da sinistra; il vuoto e il silenzio assoluto dello spazio naturale circostante, nella tela centrale; una scala protesa verso l’alto, nella terza. Una trilogia sublime che trae ispirazione da un preciso momento della realtà: si richiama, infatti, a quell’evento eccezionale di marzo 2011 quando la Luna ha registrato il momento di massima vicinanza alla Terra. Chissà quanti avranno immaginato di poterla raggiungerla: magari salendo i gradini di una scala, come ha visualizzato Salbitani.

L’omaggio di Salbitani al satellite terrestre non è solamente un atto istintivo, di romantica contemplazione estetica: il volto mutevole della Luna affascina per i suoi sottilissimi spicchi, per l’alone trasparente o nebulosa bianchissima attorno, per la sua rotondità crescente e poi calante, per la vicinanza impressionante alla Terra. La ricerca artistica, costruita attorno a questo particolare soggetto, conduce infatti la Salbitani ad una riflessione sulla Luna come “simbolo universalmente condiviso, elemento di unione e comunanza tra i popoli di tutto il mondo, di tutti i tempi”.

“La Luna ci rende tutti più vicini: ci ricorda – spiega Elvira Salbitani – che tutte le razze e i popoli sono, da sempre, accomunati dal rivolgere il loro sguardo trasognato in alto, in contemplazione della magnificenza della Luna, sognando di raggiungerla: l’uomo comune, ma anche l’artista, il poeta, il pittore che ritrovano nella Luna una sublime ispirazione, la osservano di continuo. Certe volte mi chiedo se, in qualche modo, non la ‘stanchiamo’ con tutto questo incessante guardare e rivolgerci a lei”.