Fiumi violentati

21 novembre 2011 | 13:39
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Fiumi violentati

Estratto dell’inchiesta pubblicata sul numero 13 di  Basilicata 24 in edicola sabato 19 novembre 2011. Nove comuni lucani su dieci sono afflitti da gravi dissesti idrogeologici; 200mila persone abitano un territorio ad alto rischio idrogeologicoAltre  290mila sono  ad alto rischio sismico. La rete stradale è colpita da continui dissesti a seguito delle piogge; 704 gli edifici scolastici a rischio sismico, 7 gli ospedali. La Basilicata è caratterizzata da tante criticità dal punto di vista idrogeologico. Sono dati diffusi dall’ordine dei geologi lucani.

Che cosa significa dissesto idrogeologico?

Si definiscono come dissesti idrogeologici quei processi che vanno dalle erosioni contenute e lente alle forme più consistenti della degradazione superficiale e sotterranea dei versanti fino alle forme imponenti e gravi delle frane comprendendo anche fenomeni come alluvioni e valanghe.
Le cause del dissesto idrogeologico sono da ricercarsi nella fragilità del territorio, nella modificazione radicale degli equilibri idrogeologici lungo i corsi d’acqua e nella mancanza d’interventi manutentori da parte dell’uomo soprattutto nelle aree montane in abbandono dove non si esercitano più le tradizionali attività agricole e forestali. In Italia il dissesto idrogeologico in parte è naturale, essendo il nostro paese ad alto rischio idrogeologico e in parte è il frutto avvelenato di decenni nei quali il territorio è stato maltrattato sistematicamente: un’emergenza sempre meno eccezionale e sempre più quotidiana.

Che cos’è il rischio idrogeologico

Ai fini di protezione civile, il rischio è rappresentato dalla possibilità che un fenomeno naturale o indotto dalle attività dell’uomo possa causare effetti dannosi sulla popolazione, gli insediamenti abitativi e produttivi e le infrastrutture, all’interno di una particolare area, in un determinato periodo di tempo. Il concetto di rischio è legato non solo alla capacità di calcolare la probabilità che un evento pericoloso accada, ma anche alla capacità di definire il danno provocato. Rischio e pericolo non sono la stessa cosa: il pericolo è rappresentato dall’evento calamitoso che può colpire una certa area (la causa), il rischio è rappresentato dalle sue possibili conseguenze, cioè dal danno che ci si può attendere (l’effetto). Per valutare concretamente un rischio, quindi, non è sufficiente conoscere il pericolo, ma occorre anche stimare attentamente il valore esposto, cioè i beni presenti sul territorio che possono essere coinvolti da un evento. 

In Basilicata

Secondo il Gruppo Nazionale Difesa Catastrofi Idrogeologiche (GNDCI), nella nostra Regionenegli ultimi 80 anni si sono succedute più di 200 inondazioni e 1028 frane. Su 131 Comuni della nostra Regione, dal 1918 al 1994, ne sono stati investiti da inondazioni 58, coinvolti o sconvolti da frane 120. I Comuni che subiscono gli effetti delle inondazioni sono prevalentemente ubicati sulla costa, nelle parti terminali dei fiumi e quelli nelle parti basse delle valli. Le alluvioni più recenti e significative si sono ripetute il novembre 1944, il novembre 1946, i novembre 1959, il gennaio 1961, il gennaio 1972, il novembre 1976 con una identica caratteristica leggibile dalle isoiete (curve chiuse che indicano aree interessate dalla stessa quantità di precipitazioni) e con la massima precipitazione nelle parte della Basilicata più vicina al mar Jonio.

La particolare conformazione idrografica e geomorfologica della nostra Regione fa si che si inneschino fenomeni di crisi, frane e smottamenti, appena si superano i 50 mm. di pioggia nelle 24ore (Pisticci, Grassano, Senise, Bernalda, Montalbano). Le inondazioni interessano migliaia di ettari nel metapontino quando la pioggia supera i 100mm/giorno. Diversi sono i paesi della Basilicata che hanno dovuto “spostarsi” perché costruiti nel posto sbagliato, come per esempio Craco, Calciano, Garaguso; in quasi tutti gli altri le espansioni si realizzano in aree non indagate geologicamente e subiscono frequentemente danni e crolli.  

Possiamo stare tranquilli? Quelle frane nella periferia orientale di Potenza

Il 28 gennaio 2011 il fiume Sinni, esonda per la terza nel  territorio del Comune di Rotondella. Il 2 novembre 2010  si è verificata una nuova esondazione del fiume Agri con cedimento, in più punti, dell’argine in sinistra idraulica a monte della strada statale 106 Jonica, con relativa inondazione di svariati ettari di terreni agricoli coltivati e alcuni locali agricoli ed annesse abitazioni in località San Nicola in agro di Montalbano”. A Marzo 2011 assistiamo all’alluvione del Metapontino e al crollo di un ponte che spezza in due la statale Basentana. Non dimentichiamo Maratea. A gennaio 2010, frana la statale 18. Nell’agosto 2011 viene evacuata la spiaggia per una frana a ”Canale Mezzanotte”. Nel 2007, nell’ambito del progetto “Inventario dei Fenomeni Franosi in Italia (IFFI), l’Arpa rileva due movimenti franosi a ridosso del fiume Basento tra la statale 407 e la linea ferroviaria Potenza-Metaponto in un’area della periferia orientale di Potenza. Insomma, siamo preoccupati.

In Basilicata non esiste una legge organica in materia di tutela del territorio e di prevenzione del dissesto idrogeologico. Esiste una serie di norme di “settore”, che riguardano i terreni boschivi, le coste, i terreni agricoli, le norme urbanistiche, ecc. Al momento di organico esiste soltanto il PAI dell’Autorità di Bacino. Ma non mancano le iniziative programmatiche della Regione.

STORIA DI DISSESTI E PARADOSSI

In questa storia, raccontata direttamente dal protagonista, Nicola Bonelli, si intrecciano vicende politiche e tecniche, ambientali e giudiziarie che si protraggono da anni, molti anni senza che niente e nessuno abbia mai fatto chiarezza fino ad oggi. Noi la riproponiamo nella sua versione completa, nella speranza che qualcuno dia delle risposte, in un modo o nell’altro.

Il disastro del Metapontino. Cominciamo con un domanda

Nel disastrato Metapontino, il Basento è ormai una boscaglia ed ha una sezione di deflusso ridotta a meno di un terzo di quella necessaria per contenere le sue portate idriche. La sezione di deflusso (ampiezza e capienza dell’alveo) è un parametro tecnico importante per il calcolo della portata idrica. Ed è contemplata dalle regole dell’Idraulica e dalle leggi sui corsi d’acqua. Ma per alcuni dirigenti regionali, cui sono affidati i nostri fiumi: “la sezione di deflusso è una stronzata”. Per costoro la Difesa del Suolo sembra non essere un obiettivo, ma solo il pretesto per attivare fondi. I fiumi non sono il fine, ma solo il mezzo per distribuire denaro pubblico. Per cui si ripudia e si ostacola ogni forma di prevenzione – specie se a costo zero, come l’attività estrattiva – e si persegue la logica dell’emergenza: per poter gestire maggiori risorse e con minor controllo. E comunque, in vista di nuovi fondi in arrivo, e prima che si dia corso al loro spreco, la domanda nasce spontanea: a cosa sono serviti i 150 milioni di euro già spesi per “sistemare” il Basento, visto che questo povero fiume è ancora tutto da sistemare?

La parola al Fiume

La funzione primaria di un corso d’acqua, nella salvaguardia del territorio, è quella di drenare le acque del proprio bacino idrografico. Perché possa assolvere al meglio e nel tempo a tale funzione, si devono verificare due importanti condizioni:

1) che la sezione di deflusso (ampiezza dell’alveo) riesca a contenere le proprie portate;
2) che il profilo idraulico possa fungere da “livello di base” al reticolo idrografico: in ogni punto di confluenza di canali e fossi di scolo.

E’ importante quindi che l’alveo attivo venga ripulito dal materiale litoide che vi sopraggiunge con le ricorrenti piene, liberato da tutto ciò che nel tempo vi si accumula e tende ad ostruirlo, ad innalzarlo e deviarne il corso, nonché sombrato dalla vegetazione che vi nasce, cresce e trasforma i fiumi in vere e proprie boscaglie. Per la sicurezza del territorio, la pulizia degli alvei è una regola basilare e inderogabile. Le esondazioni del Basento, cui abbiamo assistito in questi anni (a Grassano, Bernalda, Pisticci e nello stesso Metapontino) sarebbero causate non già da “eventi eccezionali”, ma da una ventennale politica fatta di incuria ed abbandono.

Appare logico dunque che l’attività di estrazione di inerti fluviali dovrebbe rientrare a pieno titolo nei Programmi di manutenzione dei corsi d’acqua. Rimuovere gli inerti significherebbe contribuire alla pulizia degli alvei e alla salvaguardia del territorio. In questa direzione va anche la legge 365/2000 che all’articolo 2  stabilisce che la Regione – sotto il coordinamento dell’Autorità di bacino – provvede a rilevare le situazioni di pericolo, a identificare gli interventi di manutenzione più urgenti, ponendo particolare attenzione alle situazioni d’impedimento al regolare deflusso, con particolare riferimento all’accumulo di inerti.

Invece?

Occorrerebbe quindi determinare, per ogni tronco fluviale, la sezione di deflusso adeguata alle proprie portate idriche di ritorno trentennale, come previsto per legge. Sezione di deflusso, al cui mantenimento dovrebbe attestarsi ogni intervento estrattivo e di bonifica, da farsi in modo puntuale,  in una logica di prevenzione, e non dopo anni di accumulo di materiale e di totale ostruzione degli alvei. Gli effetti di una politica simile sarebbero sicuramente la manutenzione dei corsi d’acqua a costo zero per la P.A. e  una notevole entrata riveniente dal valore del materiale utilizzato.  Invece?

Invece, dice Nicola Bonelli, al posto di tutto questo ha prevalso l’incuria e l’abbandono, il disprezzo per le regole e per il Bene comune. La causa principale del diffuso dissesto idrogeologico, cui oggi assistiamo lungo i nostri fiumi, è dovuta alla mancata osservanza della normativa, da parte in primis dell’Autorità di Bacino. Ma pure gli altri uffici, presso i Dipartimenti Ambiente e Infrastrutture (attualmente 12 uffici, al posto dell’unico Genio Civile di una volta) non sono da meno. Non sono per niente motivati ad incrementare le entrate pubbliche, ma solo protesi verso le spese. Anzi, fanno di tutto per trasformare le occasioni di Entrata, in necessità di Spesa. Su cui possono attivare, più o meno lecitamente, il loro tornaconto.

Nicola Bonelli e la Inerco s.r.l.

Parole pesanti quelle di Bonelli, titolare della Inerco s.r.l. Arrabbiato da anni, conduce una battaglia solitaria contro quella che egli chiama “la lobby delle Tangenti & Appalti”. Ma in fondo, come vedremo, è una battaglia a difesa dei fiumi e in particolare del fiume Basento a cui Bonelli è molto legato. La mia azienda (INERCO srl di Tricarico), racconta Bonelli,  è presente ed opera lungo il Basento, nel tratto di Calciano e Grassano, sin dal 1965. Con interventi motivati da “esigenza di governo idraulico” e concessioni pluriennali, ha prelevato in media 30mila mc, annui di inerti fluviali. Nell’ultimo triennio (1991-94) 130mila mc. versando un canone di oltre 200 milioni di lire. L’ammontare di materiale asportato in 30 anni di attività è di 900mila mc. Alla fine della sua attività estrattiva (1995), la situazione nel Basento, zona giardini di Grassano, si presentava con un deflusso naturale delle acque. Una foto scattata nel 2010 dimostra che quel tratto del Basento era ostruito. Ma ad un certo punto della storia interviene una novità, tutta a danno dell’azienda, ma soprattutto, come racconta Bonelli a danno del fiume. Vediamo di che si tratta.

L’area sottoposta a vincolo

Racconta Bonelli: Dal 1995 in poi, nonostante le nostre reiterate proposte di intervento (cui è seguito, da parte degli Uffici regionali, uno scellerato turbinio di approvazioni seguiti da impedimenti, motivati anche da falso ideologico) è stato impedito il prosieguo della bonifica del Basento. Con abusi, omissioni ed anni di raggiri, e, per ultima, con un’ignobile Conferenza di servizio in cui hanno imposto la suddetta carognata del vincolo SIC – ZPS), hanno decretato la fine della nostra attività nel Basento, e la chiusura dell’azienda. SIC sta per “Sito di interesse comunitario” e Zps sta per “Zona a protezione speciale”.  Praticamente alla Inerco, da allora in poi,  vengono negate tutte le autorizzazioni per  l’attività estrattiva sul Basento.  Ma queste negazioni non sono del tutto legittime e lineari. Ma andiamo per ordine.

Trent’anni di malaffare?

Negli anni ’80– dice Bonelli –  furono spesi lungo i fiumi lucani – per opere semi-fantasma, per lavori appaltati “a forfait” ed importi gonfiati a dismisura – circa 400 miliardi di lire di Fondi Fio (Fondi Investimento Occupazione)stanziati dal governo parallelo chiamato Cipe, dilapidati senza creare un solo posto di lavoro. Soldi spartiti tra grandi imprese… partiti politici… tecnici… burocrati…

Nel 1986 vengono appaltati due Lavori di sistemazione idraulica, vi è previsto l’adeguamento della sezione dell’alveo: spesa complessiva 15 miliardi di lire. Vengono pagati 1,5 milioni di metri cubi di materiale: asportato dall’alveo, ma solo sulla carta.

Col passare del tempo la situazione sembra aggravarsi. Nel febbraio ’90 l’Ufficio Territorio di Matera fa un sopralluogo. Conferma “l’esistenza di materiale che riduce la sezione idrica” e attesta “l’esigenza di rimuovere quel materiale per consentire il regolare deflusso delle acque“.

Nel settembre ’91 viene quindi autorizzato un intervento estrattivo di bonifica, per un tratto di 3km. Nell’arco di tre anni la ditta INERCO riesce a realizzare una metà e ad asportarne circa 130mila mc., pagando 200 milioni di lire di canone demaniale.

Ma a fine ’94, un funzionario – subentrato alla dirigenza dello stesso Ufficio Territorio, che ne aveva dichiarata l’esigenza ed urgenza – ordina la sospensione dei lavori. E non c’è modo di fargli riconoscere l’evidente situazione di pericolo in cui versa la zona, e di fargli decidere il prosieguo dell’intervento. Negli anni che seguono il fiume straripa con ricorrenza annuale, e ne parlano giornali e televisione.

Nel ’99il Prefetto chiede alla Regione d’intervenire. Ma niente. Nel febbraio 2002 l’Ufficio Geologico rileva la necessità di rimuovere il materiale ivi presente, ed autorizza l’intervento proposto nel 1998 dalla INERCO, ma poi la competenza passa all’Ufficio Ciclo dell’Acqua. Ne segue tra i due il consueto scaricabarile. Alla fine, impediscono l’esecuzione dell’intervento. E la questione  si perde  nel dimenticatoio degli uffici. Ma la Inerco ricorre al Tribunale dell’Acqua. Tribunale che dopo 6 anni di processo dà ragione a Nicola Bonelli. La Regione, non eseguirà mai la sentenze del Tribunale.

Nel 2003 nel Programma regionale di interventi per la Difesa del suolo (25milioni di euro stanziati anche qui dal Cipe), alla lettera “B” (interventi di sistemazione idraulica e ripristino dell’officiosità dei corsi d’acqua) sono stanziati 3milioni e 680mila  euro, ma per il tratto Basento di Grassano, niente. Quindi, nonostante la conclamata situazione di pericolo, più volte pubblicizzata da stampa e televisione, a quella  zona del fiume nessuno è interessato.

“Fanno di tutto e di più per ostacolare l’attività estrattiva”

Nel 1996, racconta Bonelli,  adottano un piano estrattivo scellerato, in piena difformità delle leggi, fatto su misura per occultare l’abbondanza del materiale nei fiumi. S’inventano, per tale scopo, la storia del generale arretramento della costa ionica, che sarebbe dovuto ad eccessivo prelievo di materiale dai fiumi: una grande stupidaggine. Impongono prezzi, del canone estrattivo, esagerati ed inaccettabili, quindi costringono ad operare con concessioni virtuali: ne paghi mille ma ne puoi prelevare 100mila metri cubi. Per chi opera lungo i fiumi vige la regola: vietato non rubare. Chi si ostina ad operare nella legalità è costretto a chiudere; come ha chiuso la mia azienda. Confondono fischi per fiaschi, fiumi per boschi, alvei per alveoli. Durante l’incontro del 23.01.07, uno dei massimi dirigenti degli uffici preposti pronunciò la seguente bestialità: ”Adesso basta con questa stronzata della sezione di deflusso”.

Ma accade di peggio. In mezzo l’alluvione del Metapontino

Attraverso certi  “Programmi” vengono “eseguiti” ben due interventi nel torrente S. Nicola di Nova Siri. Un torrentello da niente, dice Bonelli, dove non esiste alcun pericolo di esondazione. Anzi non esiste nemmeno l’acqua.

Per i Lavori di apertura della sezione di deflusso, in circa 3.000 metri di torrente, i due interventi (del 2002 e 2005) prevedono la spesa di 757 mila euro e la asportazione dell’alveo di 300mila metri cubi di materiale. Tutto a spese della Regione e non a carico dell’impresa utilizzatrice. Materiale, aggiunge Bonelli, che però viene asportato solo sulla carta. L’unica cosa certa è che qui si è consumata un’operazione spartitoria: molto simile a quelle degli anni 80, durante la grande abbuffata dei Fondi FIO. Incredibile ma vero. Tornando alla zona “Giardini” di Grassano, nel frattempo sono trascorse altre 8 stagioni. Ad ogni stagione una piena. Piena che porta altro materiale, che continua ad ostruire l’alveo e a deviarne il corso. La situazione è gravissima. Vi sono accumulati oltre 400mila mc di materiale, che stanno distruggendo 800 ettari di ottima agricoltura. Nell’ottava stagione, ossia marzo 2011, assisteremo all’alluvione del Metapontino.

Perché è una grande stupidaggine dire che l’arretramento della costa jonica è dovuto ad un eccessivo prelievo di materiale dai fiumi?

Alcuni vanno sostenendo che “il fiume deve evolvere secondo natura”, senza rendersi conto che, perché ciò avvenga, bisognerebbe tornare alle origini: sgomberare la pianura dalle “cose umane”, restituirla al Fiume, suo padre naturale appunto, e ritornare in montagna.L’argomento più usato, per contrastare l’escavazione in alveo, è la cosiddetta “erosione della costa”. Fenomeno che, secondo alcuni sarebbe in atto lungo tutte le coste della penisola. L’estrazione in alveo va assolutamente vietata, si sente dire, perché sottrae il materiale necessario al ripascimento delle spiagge (come togliere la biada ai cavalli ?). E’ l’argomento usato anche in Basilicata dai vari “tutori” nostrani in “difesa” della costa jonica. Salvo poi ad incontrare alcune delle stesse persone, che avallano l’asportazione di 7 milionidimc. dall’alveo del fiume Basento (in un appalto da 113 miliardi di vecchie lire, nel periodo della grande abbuffata di Fondi FIO degli anni ’86-‘90).

Il silenzio degli uomini buoni

Insomma, l’estrazione di materiale fluviale è un’attività utile se svolta secondo regole ben precise e sotto un competente e costante controllo. Tra l’altro è la legge a stabilire che l’estrazione di materiale dall’alveo “può essere consentita solo quando possa derivarne beneficio per il regime

delle acque e per l’interesse pubblico”Nel tempo pare sia accaduto il contrario. Le autorità hanno proceduto a piccole e frequenti autorizzazioni senza però controllare l’effettiva quantità di materiale estratto. Sembrerebbe che questa situazione abbia generato un paradosso per cui alla rigidità dei funzionari rispetto a certe autorizzazioni,  si è accompagnata una certa scioltezza e distrazione per altre autorizzazioni magari inutili e costose. Ma allora l’erosione della costa jonica?

Bonelli è come un fiume in piena: a tutti sfugge la vera causa che sta provocando quel disastro. Causa che non viene da lontano ma è tutta lì e soltanto lì, nel modo errato di approccio e di utilizzo, del litorale stesso. A mio avviso andrebbe fatta una seria inchiesta sul letamaio – di appalti pilotati, di opere fantasma ed enormi spartizioni di denaro pubblico – prodotto dal 1986 in poi, lungo i fiumi lucani. Con ciò non voglio dire che tutti gli operatori regionali (politici e tecnici) siano responsabili di tali malefatte. So per certo che affianco ai tanti Gaglioffi, vi operano anche tantissime Persone per bene. Però va ribadito anche che, come diceva Martin L. King, “Ciò ch’è più dannoso nel mondo non sono gli uomini cattivi, ma il silenzio di quelli buoni”.

Per un approfondimento sulla vicenda Bonelli:

http://www.fontamara.org/