I costi della politica e il mercato nero del consenso
Ridurre i costi della politica. Tutti sono d’accordo. C’è chi raccoglie firme, c’è chi si indigna ad ogni piè sospinto. Proteste sui giornali, nei talk show televisivi, nelle piazze. La politica, dall’altra parte della barricata, comincia a dare segnali di maggiore rispetto per il denaro pubblico e per gli stipendi degli altri comuni mortali. La battaglia, ingaggiata da più parti contro gli “altissimi” stipendi di parlamentari, consiglieri regionali e dirigenti pubblici, per alcuni è demagogica. Da una parte ci si indigna, giustamente, davanti a retribuzioni di dieci o ventimila euro al mese. Dall’altra parte non sono pochi coloro che insistono sulla irrisorietà dei risparmi che si otterrebbero abbassando certi stipendi. C’è della demagogia da un lato e dall’altro. Infatti, in questa appassionante discussione non si coglie il senso vero del problema sul tavolo. E vediamo perché. E’ corretta e sacrosanta la richiesta di ridurre i costi della politica, ma con l’aritmetica non si va da nessuna parte. “Togliamo il 10% di quel costo, riparametriamo gli stipendi dei manager, tagliamo le auto blu, devolviamo il gettone di presenza alla casa di riposo” e così via. Tutto questo serve a fornire simboli al popolo il quale spesso si accontenta degli esempi. Infatti sentiamo spesso parlare di “segnali necessari da dare”, “esempio di moderazione di cui i cittadini hanno bisogno.” In effetti i buoni esempi del re dovrebbero far bene ai sudditi. Ma nel nostro caso non è proprio vero. Il problema è che la classe politica si muove esclusivamente sul fronte dei “segnali”, dei “simboli” degli “esempi”. La sostanza non si vede. Anche perché è difficile dare risposte di sostanza quando questo richiede rivoluzioni di sistema. E veniamo al dunque. Tutti hanno imparato da Berlusconi qualche elemento base di marketing politico. Assistiamo a patetiche decisioni quali, per esempio, l’obbligo degli assessori regionali di raggiungere la sede istituzionale con la propria auto. Grave ammissione di un ex privilegio. O anche l’abolizione dei giornali gratuiti. Ridicolo. Oppure certe amministratori comunali che pateticamente si riducono l’indennità per destinarla ai servizi sociali. Salvo poi verificare che quei soldi bastano per fare qualcosina per trenta giorni punto. Però, “è importante dare segnali”. I cittadini indignati dovrebbero fare a meno dei segnali e chiedere una riforma sostanziale del sistema. Quale sistema? Quello che costa davvero. Manager pubblici e dirigenti pagati senza ritegno. Politici che nominano quei manager e quei dirigenti. Il vero sistema di affari della mala politica è il business del consenso. In questo business agiscono mercanti di ogni tipo che chiamiamo “politici”, “direttori”, “presidenti” “consiglieri di amministrazione”. Questa gente costa l’ira di Dio semplicemente perché tanto costa portare consenso a chi li nomina. Fior di quattrini a manager che hanno distrutto intere aziende pubbliche attraverso sprechi enormi e indebitamenti senza fine. Fior di quattrini a dirigenti che non sanno neanche scrivere una delibera. I veri costi della politica si nascondono nei meccanismi del mercato nero del consenso. Altro che tagli alle auto blu. Noi cittadini paghiamo manager e dirigenti che non sanno neanche da che parte girarsi. Risparmieremmo molto di più in termini di servizi, di efficienza, di efficacia se pagassimo manager e dirigenti che lo sono davvero. Gli sprechi e i costi che sopportiamo sono semplicemente il prezzo della scarsissima qualità della politica. Niente panacee, dunque, ma riforme sostanziali. A partire dall’abbattimento del mercato nero del consenso.