Un lucano nella cinquina al Campiello

7 settembre 2011 | 14:11
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Un lucano nella cinquina al Campiello
Un lucano nella cinquina al Campiello
Un lucano nella cinquina al Campiello

Un remoto paesino cancellato dal terremoto. Il suo nome, Palmira, evoca  antiche vestigia esotiche oppure la mutevolezza della toponomastica lucana (è stato il nome di Oppido Lucano per un periodo che va dal 1863 al 1933). Un luogo immaginario, dunque, o forse esistente soltanto nel paesaggio della memoria ma che torna ad esistere attraverso il racconto ma anche grazie a chi, magari da molto lontano, si mette in viaggio per trovarlo.Una lucania mitica e invisibile traspare dalle pagine di Giuseppe Lupo, finalista alla quarantanovesima edizione del premio letterario Campiello.

Lucano di Atella, insegna letteratura contemporanea alla Cattolica di Milano, già autore di romanzi che hanno riscosso successi e premi, Lupo con quest’ultimo lavoro per i tipi di Marsilio s’immerge nel fascino evocativo dei luoghi della sua terra e ne dipinge un ritratto che collocherei tra quelli di Macondo e Spoon River nell’ideale museo della memoria.

Attraverso il dialogo fra una giovane antropologa, giunta a Palmira dopo il terremoto, e Mastro Gerusalemme, ultimo artigiano del paese alle prese con la costruzione del mobilio per l’ultima sposa rimasta, rivivono le storie dimenticate del paese a partire dalla sua mitica fondazione. Le mani sapienti dell’artigiano intarsiano sulla superfice lignea del mobilio, ultima opera possibile dedicata a chi incarna la speranza di un futuro, l’epopea di un paese che, come tanti da queste parti, sono alla ricerca della loro memoria.