La nascita di una Dea

23 settembre 2011 | 17:39
Share0
La nascita di una Dea
La nascita di una Dea
La nascita di una Dea
La nascita di una Dea
La nascita di una Dea
La nascita di una Dea

Secondo diversi storici, le guerre sannitiche furono il vero punto di rottura, il più forte slancio che diede il via all’inarrestabile ascesa della potenza romana nel mondo antico.

Le guerre sannitiche

Della terza ed ultima guerra sannitica (298-290 a.C.) si pensa che sia cominciata a causa delle attività romane in Lucania, cosa che indusse, verso la fine del 297 a.C., Sanniti, Etruschi, Galli Senoni ed Umbri a coalizzarsi per contrastare gli eserciti dell’Urbe. Il grande scontro (la cosiddetta “Battaglia delle Nazioni”) fra la repubblica romana e la potente coalizione sannita guidata dal generale Gellio Egnazio, avvenne nel 295 a. C. a Sentinum, l’odierna Sassoferrato nelle Marche. Dopo questa epica battaglia, per la prima volta Roma, si trovò in una posizione di assoluto vantaggio nella lotta al predominio dell’Italia peninsulare. Sebbene il grande scontro fu chiaramente favorevole al senato romano, le risorse sannite erano ancora talmente vaste da poter sconvolgere le sorti del conflitto. Una nuova grande vittoria romana ad Aquilonia (“Battaglia di Aquilonia” 293 a. C.) in Campania (lo storico romano Tito Livio racconta: In quella giornata intorno ad Aquilonia i sanniti ebbero ventimila e trecentoquaranta morti; i prigionieri furono tremilaottocentosettanta, le insegne militari conquistate novantasette […], Ab Urbe condita), indusse il senato a prendere la decisione di terminare al più presto le guerre che si stavano protraendo già da diverso tempo e soprattutto che stavano logorando gli eserciti schierati in campo.

Il piano strategico/militare e la nascita della nuova Dea.

Il piano strategico/militare che si andò realizzando in seno al vecchio consiglio degli anziani, fu quello di cingere i sanniti in un abbraccio mortale, ovvero di chiudere le loro ampie possibilità di fuga e manovre militari sul vasto territorio da questi ancora controllato. Nacque così nel 291 a.c., sotto l’auspicio del nome della Dea Venere (la prima colonia a cui fu attribuito il nome di una divinità) alle pendici del monte Vulture, la nuova e potente colonia di Venusia. Va premesso che l’occupazione precedente di diverse città limitrofe della Daunia, fra cui l’importante Luceria (314 a.C.), ebbe nei piani militari romani uno scopo principalmente difensivo delle postazioni occupate. La scelta del sito venosino invece rappresentò un cambio strategico/militare a scopo dichiaratamente offensivo, in quanto quest’ultima fu designata a caposaldo meridionale nella politica espansionistica ed annessionistica romana. Fu una scelta strategicamente cruciale che si oggi si spiega chiaramete con ragioni di carattere geografico e topografico.

L’ager venusinus.

L’ager venusinus infatti, era al centro di un sistema naturale di vie di comunicazioni ed era (e lo è tuttora) inoltre cerniera tra le aree montuose della Lucania e le fertili pianure pugliesi. Il suo possesso assicurava pertanto il predominio incontrastato su tutta l’area circostante tenendo sotto scacco i Sanniti, impedendone i collegamenti fra di loro a nord e a sud, ed allo stesso tempo di tenere sotto minaccia gli Apuli. Scriveva infatti il poeta latino Quinto Orazio (Sat. II, 1 ): “Lucanus an Apulus anceps; nam Venusinus arat finem sub utrumque colonus, missus ad hoc pulsis, vetus est ut fama, Sabellis, quo ne per vacuum Romano incurreret hostis, sive quod Apula gens seu quod Lucania bellum incuteret violenta” (Lucano o Apulo che io sia; infatti, i coloni Venusini lavorano la terra ai confini delle due regioni e sono stati mandati lì appositamente, com’è fama antica, dopo la cacciata dei Sabini, perché il nemico non corresse su Roma trovandosi davanti una terra deserta, quando la gente Apula o la bellicosa Lucania ci dichiarassero guerra). La neonata Dea contava alla nascita secondo le fonti ben 20.000 coloni (Dionigi di Alicarnasso, Antichità Romane), una cifra che appare esageratamente alta per una colonia latina (s’ipotizza in proposito che il computo totale contasse anche preesistenti abitanti dauno/sanniti sparsi nella zona e confluiti nella nuova città).

Premesse e promesse

Il grande centro sorse pertanto con importanti premesse; quali il nome di una dea, il numero esorbitante di coloni e l’impellente obiettivo di terminare una lunga e logorante guerra, ma anche con conseguenti e importanti promesse, che ben presto furono tutte largamente mantenute. Fu così infatti, che Venusia risultò strategicamente fondamentale per l’espansione militare romana nel meridione; dopo la sua fondazione i Sanniti non ebbero più la forza di reagire alla nuova potenza romana sul territorio (le guerre sannitiche si conclusero infatti subito nel 290 a. C.,); diventò come un luogo di commercio vitale per lo smistamento d’importanti traffici granari che dalla Puglia si dirigevano verso il popoloso centro dell’impero, poiché attraversata dalla più importante delle vie consolari, la Via Appia, e infine, assolutamente da non dimenticare, fu il grande contributo che rese alla cultura latina, dando i natali a una delle più splendide menti della civiltà antica (e non solo), ovviamente Quinto Orazio Flacco.

Le sorti.

In seguito le sorti dell’antica città di Venere seguirono all’incirca quelle dell’impero; gli influssi della splendida età augustea si fecero ampiamente sentire anche nel Vulture, allo stesso modo, la fine della parabola romana fu un momento difficile per il borgo apulo/lucano. Il destino riservato agli Dei, come sappiamo però, va oltre la vita e la morte degli stessi; sul finire dell’impero romano, quando erano in bilico perfino le sorti della città eterna, Venusia, seppur attraversata dai nuovi tristi eventi delle invasioni barbariche, sopravvisse e, secondo un’epigrafe ritrovata nella zona (splendida civitas venusinorum) si mantenne viva e florida. Di fatto però, anche per l’antica patria di Orazio, il crollo dell’impero romano d’occidente rappresentò uno dei momenti più duri di tutta la sua storia; la fiorente colonia ebraica, fondamentale per l’economia cittadina, non sentendosi più al riparo e attaccata dai saraceni intorno agli inizi dell’800 a. C., scomparve, trasferendosi molto probabilmente nella zona della futura Melfi normanna. Allo stesso periodo è infatti attribuita la riduzione del perimetro urbano riscontrata durante le indagini archeologiche.

L’indelebile metamorfosi dei tempi.

Passata e superata l’età delle invasioni (e degli Dei!), l’antico centro oraziano, con l’arrivo dei primi duchi normanni, risorse, e cominciò a intravvedere la luce di una nuova e considerevole rinascita medievale. I primi secoli dopo il mille videro lo spostamento del suo baricentro vitale (anticamente ascrivibile alla zona gravitante intorno al foro romano, probabilmente dove oggi si trova piazza Orazio) in direzione nord est, attraverso la ristrutturazione di edifici religiosi paleocristiani e altomedievali, fra cui principalmente il complesso della SS. Trinità/Incompiuta. L’operazione divenne decisiva per la trasformazione dell’antico centro pagano, che attraverso l’opera dei benedettini della SS. Trinità, cominciò il suo rapido mutamento in città cristiana. Questi laboriosi monaci infatti, crescendo ed operando all’ombra della protezione e del sostegno economico del primo duca di Puglia, Sicilia e Calabria, Roberto il Guiscardo, seppero riportare interessi economici e fervore costruttivo (a testimonianza di ciò vi è la meravigliosa fabbrica dell’Incompiuta) in un luogo che tornerà a brillare di luce propria verso tutto il meridione normanno. E fu così che l’antica Dea Venusia rinacque subendo l’indelebile metamorfosi dei tempi: depose le ormai superate vestigia monumentali classiche romane e indossò nuove, splendide e più consone ai tempi, vesti medievali normanne.