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Dall’informazione alla conoscenza: perché 2+2 fa 4?

30 giugno 2024 | 13:39
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Dall’informazione alla conoscenza: perché 2+2 fa 4?

Un giornalismo che aiuti i lettori a pensare

Come è noto ai lettori più affezionati, questo giornale fornisce le informazioni essenziali e non pubblica tutte le notizie, o presunte tali, che riguardano i fatterelli della Basilicata. È scelta dettata dalla convinzione che troppa informazione, spesso inutile e confusa, toglie spazio alla conoscenza. Ecco, noi abbiamo l’ambizione di stimolare conoscenza, ci proviamo. In altre parole, fornire le chiavi per la conoscenza dei fatti anche, quando occorre, a partire dall’informazione.

Nella sua Lectio Magistralis, all’Università del Salento, il 17 aprile 2015, in occasione della Cerimonia di Conferimento della Laurea Honoris Causa a Zygmunt Bauman, in “Lingue Moderne, Letterature e Traduzione Letteraria”, il noto sociologo e filosofo polacco, spiega molto bene la differenza tra informazione e conoscenza. “…comprendere – spiega Bauman – significa sapere come andare avanti. E questo è proprio ciò che a noi manca: la capacità di comprendere. Abbiamo a disposizione un’enorme quantità̀di informazione, in byte, come mai prima nella storia, ma abbiamo una minore capacità di comprendere cosa sta accadendo e cosa sta per accadere rispetto ai nostri antenati che godevano invece di una salutare ignoranza relativa.”

E aggiunge: “La situazione è paradossale: abbiamo a disposizione un’enorme quantità di informazioni, almeno in teoria; se consideriamo per esempio il numero di risposte a un singolo quesito che possiamo trovare in Google, la quantità̀di informazioni è praticamente infinita, se paragonata alle capacità del cervello umano. Giusto un paio di esempi: una singola edizione domenicale del New York Times contiene una quantità di informazioni superiore a quella che i grandi filosofi dell’Illuminismo avevano acquisito durante l’intera vita. Come secondo esempio vi dico che secondo alcuni esperti, ogni giorno vengono prodotti 2 miliardi di miliardi di byte di informazioni, ovvero un milione di informazioni in più̀ di quanto il cervello umano sia in grado di assorbire in tutta la vita. Di conseguenza, questa enorme quantità di informazioni è paradossalmente un ostacolo per la nostra capacità di comprendere le cose. Se da un lato la quantità di informazione aumenta, dall’altra diminuiscono le nostre conoscenze.”

È dunque evidente che le persone oggi, a causa dell’enorme quantità di informazioni sono sempre meno informate e sempre più incapaci di comprendere i fatti e gli accadimenti. E noi che ci occupiamo soprattutto di Basilicata, lo avvertiamo nella società lucana. Scomparsa quasi dappertutto quella “salutare ignoranza relativa”, non rimane che l’interpretazione personale, emotiva, di una qualunque informazione ricondotta nel quadro dell’ignoranza assoluta. Vale a dire che tutto ciò che rinforza le mie convinzioni, seppure infondate, è buona informazione mentre il resto è “spazzatura”.

Che cos’è l’ignoranza prodotta dall’informazione? E che cos’è la conoscenza fornita anche attraverso l’informazione? Forse ci basta un esempio. 2+2 fa quattro, potrebbe essere una notizia corretta, un’informazione importante. Tuttavia, se a quella notizia non segue la domanda fondamentale e a quella domanda fondamentale nessuno prova a rispondere, l’informazione non aiuta alla consapevolezza, alla comprensione e non arricchisce la conoscenza del destinatario. Qual è la domanda? La domanda è perché 2+2 fa quattro? La differenza tra informazione e conoscenza, semplificata con questo esempio banale, è tutta qui. E questa differenza fa emergere un’altra crisi del nostro tempo: l’incapacità di fare e di farsi domande. Ormai gli algoritmi hanno già tutte le risposte pronte senza che ci sia la necessità di domandare. E come dice Bauman “se consideriamo il numero di risposte a un singolo quesito che possiamo trovare in Google, la quantità di informazioni è praticamente infinita, se paragonata alle capacità del cervello umano”. E quindi a che servono le domande? È un’involuzione pericolosa perché senza domande il pensiero resta immobile. Chi domanda pensa, cerca di capire, ha voglia di capire.

Certo, un’inchiesta giornalistica, un articolo di approfondimento non possono sostituirsi ai libri. L’ideale è trovare nei libri sull’argomento, la risposta a quella domanda e farsi un’opinione, crearsi un cassetto di consapevolezza che ci aiuta a comprendere. Tuttavia, l’inchiesta giornalistica e l’articolo di approfondimento ci aiutano a pensare, a riflettere sui fatti e i retroscena di cui ignoreremmo l’esistenza perché volutamente nascosti all’opinione pubblica. E magari ci solleciterebbero ad ulteriori approfondimenti, nel caso l’argomento fosse di nostro interesse.

Dunque, il nostro lavoro giornalistico non può limitarsi ad informare le persone che 2+2 fa quattro, ma a fornire loro le chiavi per conoscere le ragioni per cui 2+2 fa quattro. Questa è uno dei motivi per cui a volte nei nostri articoli trovate un commento, un’interpretazione dei fatti che in qualche modo sembrano orientare il lettore. Semplicemente l’articolista, più spesso l’editorialista, quando si tratta di temi importanti, mette sul tavolo del confronto la sua opinione che, in quanto opinione, ha poco a che vedere con la verità, ma molto a che fare con lo stimolo a reagire dei lettori con altre opinioni. Le inchieste e gli articoli di approfondimento richiedono molto lavoro, ma sono utili e necessari in un panorama mediatico molto povero di contenuti.